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Solare, scacco ai piccoli impianti
Lo prevede il decreto sul quarto conto energia. Il bonus per chi usa materiali Ue fermo al 5%

Piccoli produttori di energia solare fuori gioco. Chi investe in strutture fotovoltaiche di ridotte dimensioni, con l’intento di vendere integralmente alla rete l’energia prodotta, si vedrà trattare il piccolo impianto come fosse grande. Di conseguenza, incasserà agevolazioni ridotte rispetto al previsto. E, soprattutto, incapperà in una burocrazia ben più complessa del previsto. È quanto si desume dalla lettura del decreto interministeriale sul quarto conto energia, firmato il cinque maggio scorso dal ministro allo sviluppo economico, Paolo Romani, e dal ministro dell’ambiente, Stefania Prestigiacomo. Del testo si attende ora la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, necessaria anche per dirimere alcuni dubbi. Il primo, fra questi, riguarda il premio alla filiera fotovoltaica europea, cioè il bonus aggiuntivo, che il decreto assegna agli impianti fotovoltaici costruiti con materiale fatto in Europa. Premio, che al momento non è chiaro se sia pari al 5 o al 10% della tariffa incentivante assegnata. La definizione di piccoli impianti. Il decreto parla chiaro: si considerano tali «gli impianti fotovoltaici realizzati su edifici che hanno una potenza non superiore a 1.000 kW, gli altri impianti fotovoltaici con potenza non superiore a 200 kW operanti in regime di scambio sul posto, nonché gli impianti fotovoltaici di potenza qualsiasi realizzati su edifici ed aree delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n.165 del 2001». Dunque, in altre parole, ogni impianto fotovoltaico costruito su case e capannoni sotto un megawatt di potenza accede alle agevolazioni per i piccoli impianti. Per le altre tipologie di impianto (siano esse su serra, pensilina, tettoia, pergola, barriera acustica o terreno), invece, sono etichettati come «piccoli» i soli impianti fotovoltaici con potenza inferiore a 200 kilowatt, ma attenzione, «operanti in regime di scambio sul posto». Ciò significa, che ogni altro piccolo impianto, costruito da privati per la vendita integrale dell’elettricità prodotta alla rete è tagliato fuori dalle agevolazioni migliori. E verrà considerato «grande». A meno che, come recita il decreto, non sia costruito su proprietà delle pubbliche amministrazioni. Cosa vuol dire «scambio sul posto»? Tradotto, sono quegli impianti, che il titolare ha costruito con l’intenzione di vendere alla rete nazionale l’energia fotovoltaica prodotta. E che, dalla rete, prelevano però energia elettrica, per il consumo sul posto. Una sorta di do ut des, insomma. Al titolare di questi impianti, oltre alla tariffa incentivante, viene pagata la differenza a suo favore tra l’elettricità prodotta e quella immessa in rete. Questo gap non si traduce in uno sconto in bolletta, ma in un conguaglio a suo favore, calcolato dal Gse. Il prezzo d’acquisto del surplus di elettricità prodotta, in regime di scambio sul posto, dovrebbe attestarsi sui 0,103 euro per kW. Le contraddizioni. Se per piccoli impianti bisogna intendere solo quelli fino a 200 kW «operanti in regime di scambio sul posto», ciò significa che un impianto da 5 kW su pensilina, che non opera in regime di scambio sul posto e che auto-consuma l’energia prodotta vendendo l’eccedenza alla rete, rientrerà nella categoria «grandi Impianti». Mentre, lo stesso impianto, operante in regime di scambio sul posto, rientrerà nella categoria «piccoli impianti». Idem, per gli impianti da 5 kW, che operano in regime di ritiro dedicato. Cioè, che vendono tutti e cinque i kW alla rete. Il titolare, a questo punto, avrebbe una scorciatoia per eludere questa classificazione contraddittoria: optare per un impianto con scambio sul posto, senza però consumare l’energia elettrica prodotta. Immettere, cioè, tutto in rete. E poi chiedere un conguaglio. A quel punto, il titolare si troverebbe a operare come se fosse in regime di ritiro dedicato (cioè di vendita integrale), rientrando però nella categoria «piccoli impianti». Il tutto, senza contare che, in base al decreto, dal 2013 (quando entrerà in vigore la tariffa omnicomprensiva) spariranno sia il meccanismo dello scambio sul posto, sia quello della vendita. Di conseguenza, per piccoli impianti, si intenderanno solamente gli impianti su edificio di potenza inferiore a un megawatt. Così, qualsiasi impianto nella categoria «altri impianti» diventerà grande, anche se di potenza pari a un kW. Il giallo del bonus alla filiera Ue. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, il testo concordato tra i due ministri, che ha incassato l’imprimatur del governo, prevedeva un incremento della tariffa incentivante, pari al 5%, per gli impianti il cui costo di investimento al netto degli oneri di lavoro, sia per almeno il 60% riconducibile ad una produzione realizzata all’interno della Unione europea. In seconda battuta, questo bonus sarebbe stato innalzato al 10% della tariffa incentivante assegnata, per iniziativa del ministro dello sviluppo economico. Il tutto per venire incontro a richieste mosse in tal senso da Confindustria. Di questa mossa, però, sarebbero all’oscuro i tecnici del ministro dell’ambiente, cofirmatario del provvedimento. Ai funzionari della Prestigiacomo, infatti, risulterebbe un premio ancorato al 5%, come inizialmente concordato (si veda ItaliaOggi del 7/5/2011). Dunque, bisogna attendere la pubblicazione in Gazzetta del decreto per conoscere la reale misura del bonus previsto per gli impianti con materiale made in Europe. Anche se, va detto, a ItaliaOggi risulta che la percentuale sarebbe ancora ferma al 5%, a causa del sopraggiunto fallimento della trattativa, intavolata sul punto, tra via Veneto e viale dell’Astronomia.


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