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Direttive, spazio ai risarcimenti
Diritto comunitario - Dopo la sentenza della Cassazione si aprono i margini per ottenere l'indennizzo per mancato recepimento

Un effetto ad ampio raggio quello che potrebbe scaturire dalla sentenza della Corte di cassazione depositata l’altro ieri, con la quale la Suprema Corte ha codificato il principio del diritto al risarcimento dei danni ai singoli in caso di mancato recepimento di direttive Ue il cui termine sia già scaduto e che contengono norme non immediatamente esecutive. Una pronuncia che rafforza il diritto Ue, affermando il diritto al risarcimento del danno patrimoniale subito a causa dell’inadempimento statale e che impone un’attenta analisi del contenuto delle direttive scadute, alcune riguardanti la tutela dei consumatori, per individuare la presenza di norme non self-executing. L’Italia, infatti, svetta ogni anno nella classifica degli Stati che accumulano il maggiore ritardo nell’adempimento di direttive Ue nei termini previsti. Dal quadro di valutazione del mercato interno presentato dalla Commissione europea il 21 marzo 2011 risulta che, proprio con riferimento alle direttive riguardanti il mercato interno che copre anche il settore del riconoscimento delle qualifiche professionali, l’Italia ha un deficit medio di recepimento del 2,1% a fronte della media degli Stati Ue che è dello 0,9%: la percentuale più elevata tra i 27 Stati membri. La maggior parte delle procedure d’infrazione ancora in sospeso riguarda, dopo il Belgio, l’Italia, con molti casi dovuti proprio ai ritardi nel recepimento delle direttive. Secondo l’ultimo monitoraggio sono 50 le procedure di infrazione aperte per la mancata trasposizione di direttive. Di qui l’evidente impatto che potrebbe avere la sentenza della Cassazione. Tanto più che, in effetti, l’azione di inadempimento avviata dalla Commissione davanti alla Corte di giustizia non è certo di immediato impatto sugli individui che non ne beneficiano direttamente, almeno dal punto di vista economico. Diverso, invece, il caso dell’attivazione di una domanda per risarcimento danni sul piano interno. Proprio in materia di tutela dei consumatori, per esempio, l’Italia non ha ancora attuato la direttiva 2008/122/Ce del 14 gennaio 2009 «sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio» che contiene norme direttamente applicabili che possono già essere invocate contro le autorità nazionali, ma anche norme non self-executing. Ma è anche il caso dei danni che possono essere stati subìti per effetto della condotta dell’autorità giudiziaria. Ce-rto, poi, la parte che invoca l’inadempimento dello Stato dovrà dimostrare l’esistenza di un nesso causale tra inadempimento e danno subito. Tocca infatti al singolo interessato che ritiene di avere subìto una danno dalla mancata o parziale trasposizione di una direttiva procedere davanti ai giudici italiani. Entro quanto tempo? La Cassazione su questo fa chiarezza e spiega che il termine di prescrizione è di 10 anni a fare data dall’entrata in vigore del provvedimento che, sia pure in ritardo, ha previsto il recepimento. Se però il recepimento non c’è proprio stato allora la prescrizione non scatta mai, visto che si tratta di una situazione in cui il danno si è prodotto, si produce e continuerà a prodursi. E se il recepimento ha riguardato solo alcuni e non altri, allora questi ultimi potranno chiedere il risarcimento senza vincoli di tempo.

LA PAROLA CHIAVE

La prescrizione
La prescrizione, nel settore del diritto civile, si realizza con l’estinzione di un diritto soggettivo come conseguenza del suo mancato esercizio. Nel caso del mancato o parziale recepimento di atti comunitari, il cittadino interessato ha a disposizione dieci anni di tempo per chiedere un risarcimento del danno che ritiene di avere subito. Il termine di dieci anni costituisce infatti quello ordinario, a meno che non sia stato stabilito espressamente il contrario, per poter fare valere una propria pretesa.


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