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Serve un avanzo di ministero?
LE SCELTE PER MILANO

Ma per Milano la priorità è davvero ospitare qualche scampolo di ministero? I vecchi meneghini avrebbero strabuzzato gli occhi se qualcuno avesse detto loro che la loro città, per restare all’avanguardia, avrebbe dovuto trasformarsi in una dépendance di Roma. E un cumenda di qualche lettura avrebbe ricordato il sogno impossibile di Carlo Emilio Gadda, quello di presentarsi alla radio per poter dichiarare, una volta o l’altra: «Spero che le industrie italiane siano un po’ meno vilipese dai fannulloni di via Veneto». Non si tratta di riaprire annose e fruste polemiche. Un grande Paese come l’Italia si può permettere (anzi, ne dovrebbe trarre motivo di orgoglio) di avere una grande e splendida città come capitale politica, e una operosa micro-metropoli come centro del lavoro, dell’impresa e della finanza. Sono entrambe funzioni nobili e insostituibili; e si farebbero del male a vicenda se si guardassero in cagnesco. No, il problema di Milano non è la mancanza dei ministeri, o l’inizio di una guerra da poveri con Roma. Alla politica, nazionale più ancora che locale, la città chiede di essere rispettata per le funzioni che svolge e messa nelle condizioni di poterle svolgere sempre meglio. Facciamo qualche esempio: tutta l’Italia è in deficit di infrastrutture. Probabilmente, al Nord, ci sono maggiori risorse per poterle realizzare in collaborazione coi privati. Quale che sia la sede dei ministeri competenti, al Nord e a Milano interessano obiettivi realizzabili, tempi prevedibili e costi controllabili. La rapida realizzazione della BreBeMi, tanto per fare un esempio, varrebbe agli occhi dei milanesi più di qualche centinaio di burocrati pubblici allocati sotto la Madonnina. Lo stesso si può dire per la linea dell’Alta velocità per Venezia, per raggiungere la quale si impiegano tempi non radicalmente dissimili da quelli degli Asburgo. Per non parlare delle altre infrastrutture che qualificherebbero il profilo unico di Milano: pensiamo alla grande Biblioteca Europa, “cantierabile” da domani mattina, che spetta allo Stato (non al Comune) finanziare. Si tratterebbe di una grande infrastruttura civile, unica per sottolineare la vocazione di Milano alla conoscenza e alla ricerca. E se la burocrazia ministeriale ne ha finora temuto i costi di gestione, l’investimento relativo si rivelerebbe certamente inferiore al mantenimento di qualche inutile ufficio ministeriale. Oppure pensiamo a Brera. Ai milanesi interessa non che il ministero dei Beni e delle Attività Culturali sia qui o a Roma, ma che una volta per tutte venga risolta – con gli opportuni investimenti – una questione il cui ritardo mette a nudo le incapacità decisionali della politica, e la cui realizzazione rappresenterebbe, quello sì, un faro ulteriore di attrazione per la città. Ma non ci sono solo le infrastrutture. Se per decenni Milano ha significato ricerca, impresa e finanza, è in questi ambiti che la fantasia dovrebbe scatenarsi. Il lavoro non manca. La città apprezzerebbe assai, per esempio, politiche di incentivazione alla ricerca scientifica e tecnologica, che rendessero le nostre imprese sempre più competitive; e anche strumenti finanziari che consentisse alle aziende, spesso frenate dalla loro dimensione, di crescere. Insomma, ci sono decine e decine di cose che agli occhi dei milanesi (e, scommetto, anche dei leghisti) varrebbero assai di più che non il trasloco di qualche ministero. Del resto, il copione è già scritto: già nel 2003 Umberto Bossi aveva annunciato trionfalmente il trasferimento di una rete Rai a Milano. «Indietro non si torna!», disse allora il leader leghista: sappiamo com’è andata a finire. Lo stesso succederebbe coi ministeri; con la differenza che, mentre un decentramento televisivo (di Stato) non sarebbe un’eresia, quello ministeriale sarebbe una fesseria. Non credo che molti cittadini napoletani la pensino diversamente: anch’essi probabilmente si attendono dallo stato, più che nuovi burocrati, carabinieri, insegnanti, magistrati e strumenti per far fiorire una nuova imprenditorialità. Dispiace che davvero qualche politico pensi di poter riconquistare la fiducia dei milanesi (e non solo) agitando specchietti per le allodole. La questione settentrionale esiste ancora: ma è un pericoloso segnale di distacco pensare che la si possa affrontare trasformando Milano in una Roma di serie B.


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