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Persi 160 miliardi per la recessione
Finanza pubblica e sviluppo - L'analisi dei magistrati contabili

ROMA – Una perdita permanente di 160 miliardi sul Pil del nostro Paese fino al 2013. È la pesante eredità che ci lascia la «grande recessione» del 2008-2009. In tale contesto si segnala, tra i dati positivi, una prima significativa inversione di tendenza sul fronte della spesa pubblica, ridottasi per la prima volta dal 1980 in valore assoluto, e non solo in rapporto al Pil (con una contrazione dello 0,5%), «segnando una flessione di oltre 14 miliardi superiore a quanto previsto dal Governo». Le entrate si sono attestate invece al di sotto dei valori programmatici. Il ponderoso rapporto 2011 sul coordinamento della finanza pubblica presentato ieri dalla Corte dei Conti mette in luce con notevole precisione e profondità di analisi che, nonostante l’importante risultato sul fronte della spesa corrente primaria, gli andamenti dei conti pubblici «conservano una forte criticità», come mostra la dimensione della spesa totale sul Pil «che resta quasi tre punti al di sopra del valore del 2007» (3,5 punti per la sola spesa corrente). Il rafforzamento della correzione sui conti pubblici previsto dalla manovra 2010 «porta il valore della correzione complessiva a quasi 60 miliardi». Alla luce dei vincoli sul rientro del debito previsti dalla nuova governance economica europea 2010 – osserva la magistratura contabile – si renderà necessario un intervento pari al 3% l’anno: circa 46 miliardi. Un aggiustamento che la Corte giudica paragonabile per dimensioni a quello realizzato nella seconda metà degli anni Novanta per centrare l’obiettivo della moneta unica. In un quadro di tal fatta, appare impraticabile qualsiasi riduzione della pressione fiscale, con la conseguente obbligata rinuncia a esercitare per questa via «un’azione di stimolo sull’economia». Alla stessa constatazione si giunge, del resto, scorrendo i dati contenuti nella «Decisione di finanza pubblica»: la pressione fiscale complessiva resterà inchiodata sopra il 43% del Pil. Si parte dalla constatazione che la fine della recessione non comporta il ritorno a una «gestione ordinaria del bilancio pubblico». Il crinale è molto stretto, con il rischio che gli aggiustamenti in arrivo sui conti, se non sostenuti da adeguate azioni di sostegno della crescita, finiscano per comportare effetti pericolosamente recessivi. Il dato relativo alla spesa 2010 è incoraggiante. Ora occorre verificare sul campo se il segnale vada o meno nella direzione di una «più solida tendenza» verso una riduzione strutturale della spesa pubblica, tenendo conto del vero e proprio crollo delle spese in conto capitale «che si riducono di oltre il 16%», anche oltre le stesse previsioni governative. Positivo anche l’andamento delle uscite complessive delle amministrazioni locali, ridottesi dell’1,9 per cento. Per quel che riguarda le entrate, si segnalano sia i risultati della lotta all’evasione che il potenziamento dell’attività di riscossione. Nelle previsioni di gettito, circa 63 miliardi, pari al 58,5% delle maggiori entrate complessive stimate nel 2006-2013, «attribuisce alla lotta all’evasione la quasi totalità delle maggiori entrate previste». Gli indicatori a disposizione mettono in luce un aumento della compliance (l’adesione spontanea all’obbligo tributario) a partire dal quarto trimestre 2009, «dopo un riacutizzarsi del fenomeno evasivo negli anni della crisi». Decisiva è stata «l’accresciuta efficienza della riscossione»: il volume delle somme riscosse attraverso i ruoli (frutto quindi dell’attività di accertamento) è cresciuto di circa il 63%, passando dai 5 miliardi del 2006 agli 8,3 miliardi del 2010.


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