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La gara per la tesoreria non è soggetta al «Codice»
Consiglio di Stato. Non c'è appalto ma concessione di servizi

La gara per l’affidamento del servizio di tesoreria di un ente locale non è soggetta alla disciplina del Codice dei contratti pubblici (Dlgs 163/06) e quindi non sussiste l’obbligo per l’aggiudicatario di prestare la cauzione definitiva. È quanto affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza 3377 del 6 giugno 2011, chiarendo che il contratto di tesoreria rientra fra le concessioni di servizi ed evidenziando che la modalità di remunerazione costituisce il tratto distintivo dell’appalto. Così, si avrà concessione quando l’operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza, mentre si avrà appalto quando l’onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente sull’amministrazione. Peraltro, la giurisprudenza interna ha più volte posto l’accento sulla tipologia del rapporto, configurando l’appalto in caso di prestazioni rese in favore dell’amministrazione (rapporto bilaterale), diversamente dalla concessione di servizi che instaura un rapporto tra ente, concessionario e utenti (rapporto trilaterale). La conclusione cui perviene il Consiglio di Stato si pone senz’altro in linea con la più recente giurisprudenza comunitaria: con la sentenza del 10 marzo 2011 la Corte di giustizia Ue ha infatti affermato che nella concessione la remunerazione non è garantita dall’amministrazione aggiudicatrice, bensì dagli importi riscossi presso gli utenti del servizio. Il contratto di tesoreria va quindi qualificato in termini di rapporto concessorio e non di appalto di servizio, come più volte affermato dalla Cassazione con le pronunce 8113/09, 9648/01 e 874/99. Si tratta in sostanza del medesimo rapporto che si configura nel caso di accertamento e riscossione delle entrate locali (Consiglio di Stato, 5566/2010, 4510/2010 e 236/06). La procedura di gara è pertanto assoggettata al Dlgs 163/06 solo nei limiti indicati dall’articolo 30, che esclude l’applicabilità del Codice dei contratti alle concessioni di servizi, ma impone comunque il rispetto dei principi generali, prevedendo una gara informale a cui invitare almeno cinque concorrenti e con predeterminazione dei criteri selettivi. Occorre quindi rispettare i “principi” desumibili dalla normativa sugli appalti, individuati di volta in volta dalla giurisprudenza. Infatti, alcune disposizioni del Dlgs 163/06, in quanto espressione di principi generali, sono state ritenute applicabili anche alle concessioni: tra queste, l’articolo 83 sulla definizione dei criteri di valutazione delle offerte (Tar Toscana 1710/08). Altre norme del Dlgs 163/06 sono state invece ritenute inapplicabili alle concessioni: tra esse, gli articoli 86 e seguenti sull’anomalia dell’offerta (Consiglio di Stato, 1784/2011 e 513/2011). L’ente ha comunque la possibilità di richiamare – rendendole così applicabili – singole disposizioni del Codice degli appalti ovvero di effettuare un rinvio integrale alla disciplina del Dlgs 163/06. È stato infatti chiarito che, al fine di realizzare «i principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici», l’amministrazione può scegliere di avvalersi di un modello predefinito, quale quello della gara pubblica, che lo stesso legislatore ha tipizzato come espressione massima dei principi di trasparenza e concorrenzialità (Tar Lecce 2868/09). In assenza di un rinvio parziale o integrale al Dlgs 163/06, non si può pertanto imporre all’ente affidante di applicare quelle disposizioni del Codice degli appalti – tra cui l’articolo 75 sulla cauzione definitiva- che non siano espressione di principi generali.


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