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La cessione di cubatura «neutralizza» le varianti
Urbanistica. Tra Consiglio di Stato e disposizioni del decreto sviluppo

I terreni da cui è stata “prelevata” la cubatura non beneficiano degli incrementi di potenzialità edificatoria dettati in un secondo tempo dal piano regolatore. La IV sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4134/2011, affronta il problema delle conseguenze degli atti costitutivi del vincolo di asservimento, cioè le cosiddette “cessioni di cubatura”, negando la possibilità per le aree asservite di esprimere ulteriore capacità edificatoria in caso di variante del Prg migliorativa degli indici di fabbricabilità. È una tematica che diventa oggi di particolare interesse, dopo l’emanazione del decreto sviluppo. Infatti, tra gli interventi normativi volti a liberalizzare le costruzioni private, l’articolo 5, comma 1, lettera c), del Dl n. 70/2011 ha previsto anche la tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi: la “cessione di cubatura”. In realtà la norma non definisce con particolari dettagli alcun modello negoziale, ma, al fine di garantire la certezza nella circolazione dei diritti edificatori, l’articolo 5, comma 3, si limita ad aggiungere all’articolo 2643 del Codice civile il numero 2-bis), stabilendo che debbano essere soggetti a trascrizione anche «i contratti che trasferiscono i diritti edificatori comunque denominati nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale, nonché nelle convenzioni urbanistiche a essi relative». La legge di conversione n. 106/2011 ha poi eliminato il richiamo alle convenzioni urbanistiche e disposto la registrazione anche dei contratti che «costituiscono o modificano» tali «diritti edificatori». La norma del decreto è stata scritta tenendo a mente l’esperienza del Pgt di Milano, che sfrutta il meccanismo della perequazione urbanistica e prevede un vero e proprio “borsino” dei diritti edificatori. La previsione offre una copertura normativa di livello nazionale alla perequazione, ma non contiene ancora quel quadro di regole completo auspicato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4545/2010. Resta da chiedersi, ad esempio, in quanto tempo debba essere realizzata la cubatura acquistata con la perequazione e cosa succeda se – prima dell’edificazione – il Comune ne modifichi o ne limiti l’utilizzo con una variante al Prg (si veda Il Sole 24 Ore del 16 maggio). Nella pratica negoziale così come si è strutturata prima del decreto sviluppo, la cessione di cubatura è quel contratto con cui il proprietario di un suolo (cedente) presta il proprio consenso affinché tutta o parte della volumetria, che quel suolo può esprimere sulla base degli strumenti urbanistici, venga attribuita dalla pubblica amministrazione al proprietario del fondo vicino (cessionario), purché ricompreso nella medesima zona urbanistica. Il vincolo di asservimento si traduce in una sorta di servitù di non edificabilità di tipo relativo, in quanto limitata e correlata alla volumetria consentita dal Prg, che si riflette negativamente sul valore venale del bene anche, nel caso di una sua eventuale espropriazione, comportando un regime di inedificabilità ope legis. La cessione di cubatura, per univoca giurisprudenza (da ultimo, Cassazione n. 20623/2009), è una fattispecie negoziale a formazione progressiva, nella quale, sul piano dei presupposti, le dichiarazioni dei privati confluiscono nel procedimento amministrativo volto al rilascio del titolo edilizio. A determinare realmente il trasferimento di cubatura, con effetto tra le parti e nei confronti dei terzi, «è esclusivamente il provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato, che, a seguito della rinuncia del cedente, può essere emanato dall’ente pubblico a favore del cessionario, non essendo configurabile tra le parti un contratto traslativo». La nuova previsione legislativa non appare del tutto compatibile con quest’ultimo rilievo della Suprema Corte. Da un lato, la norma prevede la trascrizione del diritto edificatorio. Dall’altro, l’accordo per la cessione di cubatura tra i privati viene configurato dai giudici come un contratto atipico a effetti obbligatori. Per costante orientamento giurisprudenziale, infatti, la costituzione o la modificazione del “diritto edificatorio” resta comunque subordinata all’adozione di un provvedimento amministrativo: di conseguenza, fino al rilascio del titolo abilitativo, il proprietario del l’area è titolare non di un diritto, ma solo di un interesse legittimo di tipo pretensivo, cioè di una aspettativa qualificata ad edificare.


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