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Riforma Calderoli, libro dei sogni
Non c'è assolutamente il tempo per approvarla prima della fine di questa legislatura

Venti mesi. È il tempo che Silvio Berlusconi delinea di fronte a sé, prima delle elezioni politiche. «Il Pdl deve lavorare duro per venti mesi, ci vogliono riforme», ha detto la scorsa settimana ai coordinatori del partito. Il governo «ha venti mesi di lavoro», ha chiarito ai cronisti dopo la seduta del Consiglio dei ministri, «per approvare le riforme, che prima non si potevano fare perché oggi abbiamo una maggioranza numericamente inferiore, ma più compatta e coesa politicamente, e con cui siamo determinati a portare a termine queste riforme indispensabili per la modernizzazione dell’Italia». I tempi veri, però, sono diversi. Lasciamo da parte i riferimenti alla «maggioranza più coesa», sulla quale da dicembre batte il Cav: sarà più coesa, però, nei mesi passati dalla vittoria sul tentativo delle opposizioni di affondarlo fino a oggi, di concrete riforme si è vista soltanto la manovra finanziaria. Non si può certo dire che fosse la riforma fiscale auspicata. Ergo, le riforme dovranno farsi tutte. Sono sempre quelle già annunciate dopo la scissione finiana: giustizia, fisco, sud, istituzioni, sicurezza_ I tempi, però, come si diceva, paralizzano l’intento del presidente del Consiglio. Guardiamo realisticamente la cronologia parlamentare: si riprenderà a settembre, sino alle ferie natalizie. Cioè, meno di quattro mesi; forse appena tre. Poi, il 2012. Dieci mesi di attività delle Camere. Infine, uno scorcio del 2013, prima della chiusura della legislatura: due mesi. Ecco che i venti mesi annunciati si riducono a sedici, se non meno. È la ragione per la quale la proposta di riforma costituzionale discussa dal Consiglio dei ministri venerdì scorso non trova, nel mondo politico, un osservatore, dicesi un solo osservatore, che la esamini con l’attenzione che essa richiederebbe. Perché mai? Molto semplice: nessuno crede che essa riesca a giungere a compimento. Una riforma costituzionale così ampia postulereb-be un’intesa con vasta parte delle opposizioni, anche per evitare il probabile referendum confermativo. I dissidi sono forti, invece, già nella maggioranza, com’è emerso dal pasticciaccio inverecondo di venerdì scorso: solitudine di Berlusconi nel presentare il testo, comunicazione del fatto che la proposta era valida «salvo intese», proteste del ministro alla Semplificazione, Roberto Calderoli che denunciava la già avvenuta adozione da parte del governo, comunicato tanto ufficiale quanto imbarazzato («Il disegno di legge di riforma dell’architettura istituzionale dello Stato è stato approvato oggi in via definitiva dal Consiglio dei ministri. Il periodo di tempo fino a settembre servirà per formalizzare proposte e suggerimenti già emersi nel corso del Consiglio odierno»). Oggi quasi nessuno scommette sulla possibilità che riforme costituzionali, di là di quella istituzionale, riescano a essere approvate prima del termine ordinario della legislatura, salvo beninteso il caso di ampi accordi. Converrebbe probabilmente alla maggioranza concentrarsi su riforme da effettuare con leggi ordinarie. Certo, se poi queste riforme si traducono nel cosiddetto processo lungo, come sta per avvenire al Senato, cioè in leggi destinate a mettere una pezza a qualcuno dei guai giudiziari in cui è invischiato il presidente del Consiglio (che deve pur difendersi dall’assalto di magistrati ostili), è difficile che tali riforme abbiano cammini agevoli e che servano davvero a recuperare consensi. La stessa riforma fiscale, verosimilmente l’unica che potrebbe consentire una solida riconquista di simpatie, è un’incognita, sia come contenuti, sia come tempi.


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