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Province abolite, ma anche no
Spunta una norma inserita in extremis nel ddl. Calderoli l'ha illustrata agli esponenti leghisti

Non si chiameranno più province ma «enti locali regionali». Perché saranno le regioni, nell’esercizio delle proprie competenze legislative riconosciute dalla Costituzione, a istituirli e a disciplinarne l’ordinamento. Dovranno avere almeno 300 mila abitanti o 3.000 km quadrati di estensione e svolgeranno tutte le funzioni oggi esercitate dall’infinita pletora di enti intermedi (agenzie, consorzi, autorità d’ambito, bacini imbriferi e chi più ne ha più ne metta) che verranno obbligatoriamente soppressi. Saranno guidati da un presidente che, qualora la regione lo preveda, potrà essere eletto dai cittadini. E’ questo l’identikit, per molti aspetti coincidente con quello delle attuali province, disegnato dal ddl costituzionale approvato giovedì dal consiglio dei ministri. Con un piccolo giallo, visto che quest’ultimo tassello è stato aggiunto in extremis al termine della riunione di palazzo Chigi. Talmente in extremis che la modifica era sfuggita anche ai diretti interessati (l’Upi). E sarebbe rimasta nell’oscurità fino all’approdo del ddl costituzionale alle Camere e in Unificata se non fosse stata svelata ieri da Giulio Tremonti, Umberto Bossi e Roberto Calderoli. I tre ministri, incontrando alla Villa Reale di Monza, i presidenti di provincia della Lega, hanno illustrato le novità del disegno di legge. E subito si è capito che il testo uscito dal cdm in realtà era diverso da quello arrivato sul tavolo di palazzo Chigi. Le novità sono poche ma in grado di far dormire sonni più tranquilli ai presidenti di provincia. «Il ministro ci ha ribadito che il testo uscito dal cdm prevede l’elezione diretta del presidente di quest’ente intermedio», ha spiegato il presidente della provincia di Treviso e dell’Upi Veneto, Leonardo Muraro. La differenza fondamentale fra i due testi risiede nell’articolo 2 che nella prima versione del ddl era composto da un solo comma. In quella riveduta e corretta, approvata dal cdm, se ne è aggiunto un altro ricco di novità. Il testo affida alle regioni la competenza a disciplinare l’ordinamento degli «enti locali regionali» che, come detto, dovranno avere una popolazione di almeno 300 mila abitanti o un’estensione territoriale di almeno 3000 km quadrati. Le stesse soglie al di sotto delle quali la manovra di Ferragosto faceva scattare (prima del ripensamento del governo) la tagliola. I nuovi enti locali intermedi dovranno necessariamente avere un presidente che sarà eletto (lui solo) a suffragio universale diretto. I consigli, ma per il momento questa è solo un’ipotesi, saranno invece composti dai sindaci dei comuni ricompresi nel nuovo ente. Le regioni dovranno evitare sovrapposizioni con le istituende dieci città metropolitane che proprio dalla soppressione delle province potranno trarre lo sprint decisivo per un definitivo debutto sulla scena politica. Ciò significa che a Roma, Milano, Torino, Napoli, Firenze, Bologna, Bari, Reggio Calabria, Venezia e Genova (a cui si aggiungono le città metropolitane individuate dalle regioni a statuto speciale: Palermo, Catania, Cagliari, Messina e Trieste) il territorio degli «enti locali regionali» non potrà coincidere in tutto o in parte con quello delle città metropolitane. Come le attuali province, i nuovi enti svolgeranno funzioni di area vasta. Ma la novità è che non potranno più esserci doppioni, perché lo stato e le regioni dovranno sopprimere «gli enti, le agenzie e gli organismi» che potrebbero sovrapporsi a questi nuovi soggetti istituzionali.


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