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In Calabria e Basilicata cambia la geografia
Enti locali - I tagli previsti dalla manovra

Rivoluzione in Basilicata e Calabria, restyling più leggero in Puglia. Sono gli effetti a regime della nuova cura da cavallo agli enti locali, prescritta da una manovra bis che nell’ambito della Pubblica amministrazione chiede a piccoli Comuni e Province i sacrifici più pesanti. Una cura che, se portata a termine, imporrà un ridisegno profondo nell’amministrazione del territorio: oltre alla cancellazione di posti in Giunte e Consigli, chiederà agli enti più piccoli di raggrupparsi in Unioni di Comuni e gestioni associate per tutta l’attività. I numeri sono importanti: solo nelle regioni del Mezzogiorno la riscrittura dell’amministrazione locale comporterà dalle prossime elezioni amministrative il tramonto di 5.722 posti nei Comuni (4.275 consiglieri, il resto sono assessori) e di 649 nelle Province, metà dei quali cancellati dal dimezzamento degli organismi politici e l’altro 50% dall’abrogazione complessiva delle Province prevista dal disegno di legge costituzionale approvato giovedì scorso dal Consiglio dei ministri. Non è il primo tentativo di dieta della politica locale, ovviamente, ma sono due i fattori a indicare che questa volta la partita è più “seria”: la crisi dei conti pubblici, che difficilmente darà spazio a ripensamenti e deroghe, e il fatto che questa volta la manovra non si limita a cancellare seggi e “poltrone”, ma riscrive tutto il funzionamento dell’amministrazione locale. Per i Comuni fino a mille abitanti, oltre al taglio dei Consigli e alla cancellazione integrale delle Giunte, c’è l’obbligo di confluire entro metà agosto 2012 in Unioni di Comuni, di almeno 5mila abitanti ciascuna, con cui gestire tutte le attività e i servizi pubblici locali. Se il Comune ha una popolazione compresa fra i mille e i 5mila residenti, invece, la richiesta è di gestire in forma associata tutte le funzioni fondamentali entro il 31 dicembre 2012, all’interno di “alleanze” da 10mila abitanti almeno. In un ridisegno così profondo, i problemi applicativi sono una marea, tanto più che gli amministratori locali hanno accolto male le novità e annunciato ricorsi contro le norme ordinamentali. I problemi dipendono, prima di tutto, dalle ricadute pratiche che norme uguali per tutti hanno in territori diversi. In Calabria e Basilicata, dove una fetta importante del territorio è montuoso, l’ondata delle novità investe oltre il 9o% dei municipi, imponendo in meno di un anno un reticolo di alleanze obbligatorie diffuso su tutto il territorio della regione. Ben diversa la situazione in Puglia (57%). In mezzo, la Campania (76%). Anche per questo, la manovra prevede una clausola che permette al governo regionale di individuare un limite demografico più piccolo rispetto a quello fissato dalla norma, purché la nuova regola sia approvata entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione della manovra-bis. La ragione è chiara, e mira a evitare di dover legare fra loro Comuni distanti decine di chilometri per raggiungere il numero minimo di abitanti. Se la Regione non si sbriga, però, rimane in campo la soglia più alta, capace di trasformare il reticolo delle alleanze obbligate in un sudoku di impossibile soluzione. Un’altra incognita riguarda la Sicilia, dove peraltro i risparmi potrebbero essere più consistenti. La manovra-bis prevede infatti che anche le regioni a statuto speciale si adeguino alle nuove regole dell’amministrazione locale, ma lo dovranno fare «in conformità» con i propri Statuti: è tutto da dimostrare che questa previsione riesca a superare l’argine efficace che l’Autonomia ha sempre garantito contro i tentativi di riduzione degli apparati amministrativi.


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