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Sviluppo a «costo zero»
La manovra di Ferragosto

ROMA – Le nuove misure per la crescita in un decreto e le correzioni aggiuntive nel disegno di legge di stabilità (la ex Finanziaria). Sarebbe questo lo schema su cui punta il governo per anticipare, a costo zero, entro la prima settimana di ottobre e dopo l’aggiornamento degli indicatori di finanza pubblica e dei tendenziali sul Pil, gli ulteriori interventi necessari per assicurare la tenuta dei saldi. Nel Dl andrebbe il cosiddetto «tagliando crescita» con le liberalizzazioni, la «fase due» delle semplificazioni, per il Sud la messa a regime dei contratti di sviluppo e forse un meccanismo di recupero dei fondi Ue a rischio, più interventi su reti energetiche e tlc. Nel Ddl, invece, le misure per ridurre il debito: oltre alle eventuali norme sulle privatizzazioni, verrebbe inserito un nuovo «pacchetto previdenziale» e, su spinta della maggioranza, una qualche forma di condono. Sul fronte pensioni, al netto dei gesti espliciti di Umberto Bossi contro un eventuale intervento sulle anzianità, la previsione di base riguarderebbe proprio i ritiri anticipati. Si potrebbe anticipare quota 97 il prossimo gennaio (62 anni + 35 di versamenti o 61+36) per poi agganciare l’aumento del requisito anagrafico di un anno nel triennio a seguire per arrivare a «quota 100» nel 2015. Si bloccherebbe in questo modo circa un terzo dei pensionandi di anzianità (gli altri due terzi continuerebbe a pensionarsi a prescindere dall’età avendo cumulato 40 anni di contributi), con risparmi crescenti tra il miliardo e 200 milioni e i due miliardi tra il 2015 e 2016. Il pacchetto si completerebbe con una seconda misura sulla vecchiaia: dal 2026, quando entra a regime il requisito dei 65 anni anche per le lavoratrici del settore privato, si eleverebbe l’età pensionabile a 67 anni per tutti, con eventuali disincentivi per chi optasse per un ritiro a 65 o 66 anni. Se al momento all’Economia non si lavora ad alcuna forma di sanatoria, dal Parlamento arriva più di una sollecitazione al Governo a ricavare risorse per la riduzione del debito. Il condono non piace al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Già questa estate, nel pieno del dibattito sulla manovra correttiva, Tremonti aveva categoricamente smentito la possibilità che venisse introdotta una qualsiasi forma di sanatoria, ritenuta una tantum e non strutturale. C’è poi da ricordare il veto dell’Europa che già ha bocciato i condoni del 2002 imponendo per altro all’Italia il recupero dell’Iva. Veti e obiezioni che, però, non bloccano la maggioranza. Il gancio giusto potrebbe essere il concordato preventivo biennale previsto dalla delega fiscale all’esame della Camera. Misura che potrebbe operare sul futuro, mentre per il passato c’è chi, come Maurizio Leo (Pdl), propone un concordato di massa. Che, per sua natura, nulla ha a che vedere con un condono. Si tratta di riproporre “di massa” ciò che già oggi nella prassi fanno gli uffici finanziari individualmente. In sostanza il fisco potrebbe inviare una proposta di accertamento con un abbattimento del 20-30% e in cambio dell’ok del contribuente rinuncerebbe a ogni forma di accertamento analitico-induttivo. Sulla manovra si è espresso ieri anche il presidente di Febaf, Corrado Faissola: «Bene le misure previste ma in una situazione di assoluta emergenza i mercati e le istituzioni si aspettano dall’Italia una significativa riduzione dello stock del debito». Percorso destinato ad essere parallelo a quello sulla crescita. Ieri il ministro dello Sviluppo Paolo Romani ha affrontato il tema anche con le Regioni e ha preannunciato a giorni i tavoli con le parti sociali per provvedimenti sulla crescita su «alcuni fronti fondamentali» tra cui anche «semplificazioni e revisione degli strumenti finanziari per le imprese»: obiettivo rilanciare il venture capital e rimettere ordine agli strumenti di garanzia per il credito.


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