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«Gli immobili in società ad hoc»
Privatizzazioni. Prime proposte per cedere il patrimonio con un assetto pubblico-privato

ROMA – Il patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti locali è: immenso, malgestito e spesso sconosciuto. La stima approssimativa oscilla per difetto tra 400 e 500 miliardi. Per questo è in corso da tempo da parte della direzione generale del Tesoro un nuovo e laborioso censimento dettagliato degli asset immobiliari, che procede in parallelo con quello delle partecipazioni delle utilities locali. É il primo passo del ministero dell’Economia in vista dell’iniziativa, annunciata due giorni fa, di un seminario sulle privatizzazioni, che in realtà sarà un summit con gli investitori che si terrà a fine mese a Via Venti Settembre che è stato subito ribattezzato con alto valore evocativo ‘Britannia-2’. Per gli immobili si tratta di censire uffici, alloggi militari, caserme, terreni di ogni tipo e uso, ex colonie, arsenali, tribunali, ospedali, scuole, teatri, stadi, allevamenti, magazzini, alberghi, e tanto altro ancora. Ma oltre al censimento dovranno essere elaborate delle proposte concrete da sottoporre agli investitori italiani ed esteri, ed è anche questo un fronte su cui stanno lavorando i tecnici del Tesoro. Già, perchè non è ipotizzabile una cessione parcellizzata: ci vorrebbero decenni e gli esperimenti degli ultimi anni hanno dimostrato che quella non può essere la via maestra, sia per problemi tecnico-legali sia per resistenze da parte delle amministrazioni competenti. Una proposta percorribile viene avanzata in un libro di recente uscita, “La finanza locale nel mercato globale”, scritto da Edoardo Reviglio, capo economista della Cassa Depositi e Prestiti, e quindi con ogni probabilità coinvolto in prima linea nell’operazione. Nel testo – progettato da Gianfranco Imperatori, il banchiere scomparso nel 2009 alla cui memoria è dedicata una onlus – scende nel concreto, e quindi è ipotizzabile che questa possa essere una delle soluzioni allo studio. «Per alcuni classi di beni – è scritto – si potrebbe effettuare il trasferimento delle attività in veicoli societari a controllo maggioritario dello Stato, che vengono quindi solo parzialmente messi sul mercato». In questo modo si realizza una soluzione intermedia che permette allo Stato di costringere gli attuali gestori ai doveri di trasparenza e buona gestione – cosa che oggi non è affatto, visto che le spese di manutenzione superano di gran lunga quelle del privato, dalle due alle tre volte – e nello stesso tempo consente di mantenere indirettamente la proprietà dei beni e una certo grado di controllo su di essi. La questione non è di poco conto: infatti viene stimato che circa il 55% del patrimonio immobiliare dello Stato e di Regioni ed enti locali sia di carattere strumentale, mentre la restante parte è distribuita tra altri amministrazioni pubbliche, usi sociali e culturali o date in uso a privati. «Operazioni di societarizzazione e successiva messa sul mercato delle attività del patrimonio fruttifero possono quindi prefigurare un assetto pubblico-privato della gestione delle attività pubbliche che permetta, insieme, una migliore gestione dei beni e delle attività, quindi un riordino più razionale, ed una parallela riduzione del debito pubblico». Nell’ultimo decennio le dismissioni immobiliari sono state centrali per far cassa, a partire dalle note cartolarizzazioni (Scip1-Scip2) realizzate negli anni 2001-2002 che hanno generato introiti per quasi 9 miliardi di euro. Nel complesso le vendite – tra i fondi Alpha, Beta, Fip, quelle delle Difesa e del Demanio e degli enti locali – hanno fatto incassare al pubblico oltre 21 miliardi. Una cifra quindi ben lontana dal reale potenziale patrimoniale dello Stato.


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