MAGGIOLI EDITORE - La Gazzetta degli Enti Locali
Dalle Province ai debiti Pa, tutti i dietrofront
I cambiamenti dal varo ad oggi. Gli interventi iniziali sono stati rafforzati sotto l'intervento dei mercati, ma il valzer delle modifiche si è fermato solo con il sì del Senato
ROMA – Tutto ha avuto inizio la sera di venerdì 5 agosto. Non erano trascorsi neanche 20 giorni dal via libera lampo delle Camere alla manovra triennale da 47,9 miliardi di euro che, in un una conferenza stampa straordinaria convocata in tutta fretta a Palazzo Chigi alle ore 20, il Premier Silvio Berlusconi e il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, annunciavano l’arrivo di una manovra bis per anticipare il pareggio di bilancio al 2013. Un anticipo chiesto espressamente dalla Bce con una lettera inviata a Roma proprio mentre in tutta Europa scoppiava la febbre (tutt’ora altissima) degli spread. Lo stesso ministro Tremonti, quella sera del 5 agosto, parlò di una semplice rimodulazione dei tempi fissati dal decreto di luglio (n. 98/2011) per raggiungere il pareggio di bilancio. Ma di lì a poco la stessa Economia, sulla spinta dei mercati, capì che non si sarebbe potuto trattare solo di un restyling del calendario. In meno di una settimana gli uffici legislativi dei vari ministeri, oltre a disfare i bagagli per le ferie d’agosto, studiarono nuovi interventi necessari per rafforzare i saldi fissati a metà luglio. Il dibattito in quei frenetici primi giorni di agosto si concentrò soprattutto sulla riforma delle pensioni. Alla fine però il Governo, vincolato dalle resistenze della Lega, decise di rinviare la partita sulle pensioni, soprattutto su quelle di anzianità. Il venerdì successivo il Consiglio dei ministri, dopo aver incontrato le parti sociali, approvò una manovra non solo modificata nei tempi ma anche nei contenuti. E per migliorare i saldi l’Esecutivo imboccò la strada del contributo di solidarietà, raddoppiato per i parlamentari, lasciando tramontare l’ipotesi di una patrimoniale e di una riforma delle pensioni. In un’Aula semideserta di Palazzo Madama il 17 agosto la manovra bis, non a caso ribattezzata alle cronache come “manovra di Ferragosto” iniziò il suo cammino parlamentare per la conversione in legge che si è concluso ieri con il via libera definitivo della Camera. Mentre montava la protesta dei Comuni per i tagli imposti dalla manovra e la Lega chiedeva con forza l’applicazione del contributo di solidarietà raddoppiato anche per i calciatori decisi ad attaccare gli scarpini al chiodo per la prima giornata di campionato del 28 agosto, il lunedì 29 – dopo sette ore di vertice ad Arcore – la maggioranza annunciò una serie di modifiche destinate a stravolgere la sostanza della manovra: abolizione del contributo di solidarietà; mini-stretta sulle pensioni con l’esclusione dal calcolo per il raggiungimento degli anni di anzianità del servizio militare prestato e degli anni universitari; la cancellazione soltanto per via costituzionale (non più per decreto) di tutte le Province; il quasi dimezzamento dei tagli agli enti locali; nuove misure antielusione contro le società di comodo e i beni a loro intestati. A suggellare l’accordo la decisione di non ricorrere in manovra all’aumento dell’Iva. Un accordo durato però soltanto lo spazio di 24 ore. In commissione Bilancio del Senato, che ne frattempo aveva avviato l’esame delle migliaia di emendamenti presentati, il Governo si presentò con un emendamento rivisto e corretto in molte parti e sopratutto con una nuova marcia indietro sulle pensioni e i riscatti. C’era però un corposo pacchetto antievasione con il giro di vite sulle manette agli evasori e l’obbligo di comunicare al fisco le coordinate bancarie dei contribuenti, così come la conferma della riduzione dei tagli agli enti locali, tutto a discapito dei ministeri. Si salvarono solo le tredicesime degli statali. La loro sospensione è stata sostituita dalla riduzione del 30% della retribuzione di risultato dei dirigenti responsabili della pianificazione dei budget delle amministrazioni che non riescono a centrare l’obiettivo imposto della riduzione dei costi. Nel fine settimana d’inizio settembre la commissione bilancio del Senato riscrisse in molte parti la manovra affidando soprattutto alle misure antievasione il delicato compito di coprire la cancellazione del contributo di solidarietà. Nel testo licenziato dalla Commissione trovò posto, con il parere contrario del Governo, anche la possibilità per le Pmi in credito con la Pa di ottenere la certificazione dei debiti maturati dalle amministrazioni pubbliche. Ma i dubbi sollevati da più parti sulla credibilità delle scelte operate dal Governo per migliorare la manovra e soprattutto sulla concreta possibilità che dal contrasto all’evasione fosse possibile ricavare le risorse necessarie a fare quadrare i conti della manovra senza la super-Irpef, alla fine hanno spinto l’Esecutivo ancora una volta a rivedere le proprie scelte: il ritorno del contributo di solidarietà per i paperoni d’Italia con redditi fino a 300mila euro, l’aumento dal 20 al 21% dell’Iva; l’allentamento delle manette agli evasori e l’anticipo al 2014 del graduale innalzamento a 65 anni dell’età di pensionamento delle dipendenti private e il sostanziale alleggerimento del taglio delle indennità dei politici che hanno un “doppio” lavoro. Addio anche al nuovo taglio degli enti inutili fino a 70 dipendenti: a salvarsi non solo l’Accademia dei Lincei o quella della Crusca, ma anche i consorzi della Valtellina. Poi il via libera definitivo. Ma basterà per centrare l’obiettivo del deficit zero?
Le principali misure saltate
PENSIONI E PA L’ultima correzione tentata sulle pensioni che poi è scomparsa anche alla luce del dissenso scatenato prevedeva la cancellazione degli anni guadagnati con il riscatto della laurea. Scomparsa anche la norma che prevedeva il congelamento del Tfr ai dipendenti pubblici nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di riduzione dei budget stabiliti nel 2012 e nel 2013. Arriva la sanzione, pari al 30% della retribuzione di risultato, ai soli dirigenti responsabili.
CREDITI DELLE IMPRESE Con il maxi-emendamento il Governo ha cancellato, per incompatibilità con le regole Ue sulla stesura dei bilanci pubblici, la certificazione dei debiti maturati dalla Pa e la contestuale possibilità, per le imprese artigiane e le piccole imprese, di cedere il credito alle banche. Questi soggetti anziché attendere “invano” la liquidazione dei corrispettivi spettanti avrebbero potuto vedersi versare dalla banca l’intero importo del credito vantato nei confronti della Pa.
TAGLIO PROVINCE In principio si prevedeva la soppressione degli enti con meno di 300mila residenti o con un’estensione territoriale inferiore ai 3mila chilometri quadrati. Dai calcolo fatti a tambur battente risultavano a rischio circa un trentina di province. Poi però il governo ha cambiato strategia: niente più taglio in manovra ma una misura più ampia, un Ddl costituzionale per la cancellazione di tutte le province, testo poi varato con ulteriori correzioni: arriveranno le nuove «province regionali».
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