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In pole position l'opzione dell'anticipo Imu al 2012
Focus manovra - Il prelievo sugli immobili/Il nodo prima-casa. L'esclusione dell'abitazione principale mette in crisi gli equilibri del sistema - Chi pagherà il conto. I contribuenti soggetti all'Ires potrebbero subire forti rincari

Scomparso con la stessa rapidità con cui era spuntato in una delle tante versioni preliminari della manovra-bis, l’anticipo al 2012 dell’Imu, l’imposta municipale sulla casa che nell’Italia “federalista” sostituirà l’Ici e che i decreti attuativi della riforma mettono in calendario per il 2014, rimane una delle opzioni principe nei prossimi interventi sui conti pubblici. A decretarne l’importanza sono molti fattori, prima di tutto la febbre altissima ormai raggiunta dal rapporto fra il Governo e i sindaci, che la settimana scorsa hanno inscenato lo sciopero contro la manovra, annunciano tramite l’Anci e con l’appoggio delle Regioni una serie di ricorsi alla Consulta contro le norme ritenute lesive dell’autonomia e con la loro protesta rischiano di spaccare gli stessi partiti della maggioranza. Lo psicodramma in casa Lega, con le voci sull’espulsione dei primi cittadini troppo “ribelli” (il veronese Flavio Tosi in testa) e le dimissioni del sindaco di Varese Attilio Fontana dall’Anci Lombardia per impossibilità a partecipare alla manifestazione che lui stesso aveva indetto sono la ferita più evidente, ma anche nel Pdl l’equilibrio tra fedeltà di casacca e rappresentanza delle città costringe a destreggiarsi su un filo sottilissimo figure di primo piano come il sindaco di Roma Gianni Alemanno e Osvaldo Napoli, presidente dell’Anci fino all’assemblea congressuale di Brindisi in programma i primi di ottobre. In un quadro così agitato, dove tutto serve tranne l’acuirsi delle tensioni interne alla maggioranza, rimettere l’Imu in corsia preferenziale potrebbe rappresentare l’uovo di Colombo, soprattutto per la Lega: darebbe una botta di autonomia agli enti locali, ragione sociale del Carroccio, senza far suonare automaticamente l’allarme tasse perché ai proprietari di seconde case il passaggio dall’Ici all’Imu può riservare anche qualche risparmio. Tutto facile, quindi? No, tanto è vero che la prima ipotesi inserita nella manovra-bis di metà agosto non ha resistito ai vari correttivi sul testo. A complicare il rebus, che in queste settimane occupa i tavoli dei tecnici “federalisti” del Governo con l’obiettivo di arrivare a una proposta definita entro le prossime settimane, c’è più di un fattore. La questione-imprese, prima di tutto, non è stata ancora sciolta. L’addio all’Ici porta con sé anche la scomparsa dell’Irpef sui redditi fondiari, e questo rende il passaggio conveniente ai proprietari di abitazioni e in generale ai contribuenti persone fisiche, ma il gioco non funziona per imprese e commercianti in regime Ires, che quindi dovrebbero subire un rincaro del 18,7% nel passaggio dall’aliquota attuale dell’Ici, che in media si attesta al 6,4 per mille, a quella di riferimento dell’Imu, fissata dal decreto sul fisco municipale al 7,6 per mille. È vero che la disciplina Imu permetterebbe ai sindaci di dimezzare il conto per questi soggetti, ma visti i numeri messi in gioco dalla nuova manovra non pare aria. Non solo: gli stessi sindaci sono tornati nei giorni scorsi a chiedere l’anticipo dell’Imu proprio per contrastare gli effetti della manovra con una dose aggiuntiva di autonomia, ma quando si parla di fisco l’autonomia significa poter agire al rialzo sul gettito. Da questo punto di vista, gli spazi offerti dall’Imu sono importanti, perché l’aliquota può inerpicarsi fino al 10,6 per mille, cioè 3,6 punti base sopra il tetto dell’Ici attuale fissato al 7 per mille. In quel caso, per le imprese il rincaro arriverebbe a sfiorare anche il 66 per cento. Non sono però solo uffici e capannoni a guardare con preoccupazione il cambio di regime, che offre una certa suspance anche a molti contribuenti Irpef. Prendiamo il caso degli immobili concessi in affitto: oggi in molti Comuni, se il locatario ha nell’appartamento in affitto la propria abitazione principale, l’immobile è assimilato alla prima casa e non paga l’imposta, mentre con l’Imu si vedrebbe presentare il conto, anche se con aliquota dimezzata. Secondo la disciplina scritta nel decreto federalista, infatti, i sindaci non avranno più il potere di assimilare varie tipologie di immobili all’abitazione principale, con il risultato per esempio che l’appartamento assegnato in uso gratuito a un parente tornerà a pagare l’imposta (in forma piena, perché non è affittato); una regola, questa, che può colpire tanta elusione nascosta dietro a finti comodati gratuiti, ma che colpisce anche situazioni perfettamente in regola. Ultimo, ma non per importanza, il nodo della prima casa, la cui esclusione mette a rischio (anche per ammissione degli stessi ambienti governativi) l’equilibrio di un sistema federalista tutto fondato sul mattone. Anticipare l’avvio a regime del federalismo, poi, significa trovare rapidamente una soluzione anche agli altri due pilastri della fiscalità locale, l’Imu secondaria che assorbirà tasse e canoni per l’utilizzo di aree pubbliche, e soprattutto il prelievo sui rifiuti, ancora aggrappato a una disciplina azzoppata dalle censure costituzionali del 2009. Un puzzle complicato, che impone di trovare una «quadra» in un paio di settimane per arrivare pronti all’appuntamento con la legge di stabilità o con un eventuale nuovo decreto correttivo dei conti pubblici.


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