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Negozi sempre aperti: 0,25% in più di crescita
Secondo le stime dei commercianti

MILANO – La manovra di Ferragosto è stata un’occasione mancata per liberalizzare il commercio. Forse, per molti anni, irripetibile. In un primo tempo inserita all’articolo 3 del decreto legislativo 138/11, la disposizione cancella-restrizioni è poi improvvisamente scomparsa dalla versione finale. La norma estendeva a tutti i Comuni l’eliminazione dei vincoli di orario di apertura e chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e di quella infrasettimanale (di mezza giornata) per tutti gli esercizi, compresi bar e pizzerie. Cos’è sucesso? «Non so cosa sia accaduto – osserva Albino Sonato, presidente di Aires, l’Associazione dei distributori di elettronica di consumo – anche se è molto strano che la norma sia sparita senza spiegazione. Aires e Federdistribuzione, che fa parte di Confcommercio, si sono schierati apertamente a favore della liberalizzazione. Ma in Confcommercio hanno prevalso i “piccoli”». I mugugni degli imprenditori presenti ieri al convegno milanese “Impresa commerciale e sviluppo tecnologico” promosso da Aires, indicavano che le associazioni dei commercianti hanno scelto il male minore, per i piccoli negozi, tra aumento dell’Iva al 21% e liberalizzazione degli orari. «Non so se questo sia avvenuto – commenta Sonato – ma non sarà certo una legge a bloccare il desiderio dei consumatori di fare shopping tutti i giorni della settimana. Uno studio della Bocconi dimostra che l’apertura domenicale farebbe crescere il Pil dello 0,25% e aumenterebbe l’occupazione». Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione, prende atto che «il presidente dell’Authority Catricalà aveva ottenuto la liberalizzazione degli orari ma non è chiaro chi sia stato poi l’autore della cancellazione. Del resto anche la sperimentazione degli orari liberi nelle città d’arte e turistiche non sta bene a tutti: la Regione Toscana ha ventilato l’intenzione di impugnare il provvedimento alla Corte costituzionale». Per Pierluigi Bernasconi, ad di Mediamarket, invece è tutto chiaro: «A remare contro la liberalizzazione sono state le associazioni dei commercianti. E da parte nostra, finora, c’è stata poca spinta: la nostra organizzazione di rappresentanza è troppo condizionata dai piccoli negozi». Ma non si tratta solo di liberalizzare degli orari per Bernasconi. «Il nostro è un Paese ingessato – sostiene l’imprenditore -: le sembra normale che ci siano restrizioni persino sulle promozioni? Eppure nonostante queste leggi i nostri negozi sono tra i migliori del mondo, anche per i servizi forniti». Un giudizio che trova l’assenso di Sonato: «I nostri negozi sono migliori anche di quelli americani. Peccato però che vadano anche ammortizzati e con un margine netto medio dello 0,7% sui ricavi non è facile. Figuriamoci se riusciamo ad assorbire lo 0,83% in più di Iva». Nel 2010 il business dell’elettronica di consumo ha realizzato un fatturato di 14,8 miliardi. Tuttavia «nei primi sette mesi dell’anno – interviene Roberto Cuccaroni, dg di Euronics Italia – le vendite di elettronica di consumo sono scivolate di circa l’8 per cento. Questo mercato ha bisogno di una scossa, meglio se si liberasse di norme anacronistiche». Non va meglio negli elettrodomestici. «Nei primi otto mesi – osserva Andrea Sasso, presidente di Ceced – il calo delle vendite, sell in, varia dal -6% delle lavatrici al -10% del freddo fino al -30% delle cucine. È importare liberalizzare la distribuzione ma anche dare più valore ai prodotti commercializzati».


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