MAGGIOLI EDITORE - La Gazzetta degli Enti Locali


Moody's: sugli enti locali un intervento depressivo
Mercati e manovra - Le autonomie

MILANO – Lo sforzo aggiuntivo chiesto a Regioni ed enti locali per anticipare al 2013 il pareggio del bilancio pubblico italiano «influenzano negativamente lo sviluppo economico del Paese», e possono avere un effetto negativo sul credito dei bilanci locali. Parola di Moody’s, che nel suo report settimanale sullo stato del credito istituzionale e corporate mondiale dedica un focus agli «effetti depressivi» legati al pacchetto aggiuntivo di austerità chiesto ai conti locali dalla manovra-bis pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» di venerdì. L’analisi dell’agenzia di rating sul «carico aggiuntivo su bilanci già sotto pressione» e sulle «incertezze nella distribuzione di poteri e responsabilità fra i governi locali» punta prima di tutto l’attenzione sul deterioramento nella capacità dei governi locali di realizzare investimenti, con le conseguenti «ricadute negative» sullo sviluppo economico. In contemporanea, la riduzione di risorse «solo parzialmente compensabile» con lo sblocco di alcune leve fiscali (addizionale Irpef dei Comuni per prima, libera dal 2012) e con i maggiori poteri nella lotta all’evasione colpisce la sostenibilità del debito locale, anch’essa già sotto pressione a giudicare dal panorama tracciato dai rating targati Moody’s. La carrellata delle pagelle mostra che già oggi in 18 enti pubblici sui 30 monitorati dall’agenzia (il 60%) i rating sono sottoposti a un riesame che può sfociare in un declassamento. Su questo quadro incerto pesa il possibile rischio-downgrade del rating Italia; le limature sul merito di credito del Paese bastano spesso da sole a trascinare al ribasso le pagelle dei debiti locali, e già oggi solo la tripla A degli enti del Trentino Alto Adige, fondata sugli amplissimi spazi di autonomia, e l’Aa1 di Regione Lombardia offrono gli unici casi in cui il giudizio sulla sostenibilità dei debiti locali è più lusinghiero di quello assegnato al Paese. Le parole di Moody’s hanno naturalmente suscitato un coro di consensi negli amministratori locali, dal presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, che vi legge «una conferma autorevole della validità delle nostre proposte e della necessità di invertire la rotta tracciata consecutivamente da ben tre manovre» al vicepresidente dell’Anci, Graziano Delrio, che chiede al Governo di «preparare insieme un grande piano di rilancio del Paese, che cominci a ridare autonomia ai Comuni e cancelli un Patto ottuso». Letture politiche e dibattito sull’autorevolezza delle agenzie di rating a parte, l’analisi di Moody’s si basa anche sul l’esperienza degli ultimi anni, che in particolare negli enti locali ha visto ogni inasprimento delle regole di finanza pubblica tradursi in una frenata agli investimenti pubblici, con ricadute pesanti sul sistema delle imprese locali (costruzioni in primis) che quegli investimenti realizzano. Tra 2005 e 2010, come certificato dall’Istat, le spese in conto capitale realizzate dalle amministrazioni locali sono scese dell’11,6%, passando da 38 a 33,6 miliardi all’anno, mentre le uscite correnti sono volate all’insu del 16,2% arrivando a quota 213,5 miliardi. La caduta diventa ancora più plastica se ci si concentra su Comuni e Province, che nel solo 2010 hanno diminuito rispettivamente del 16,8% e del 31% gli investimenti rispetto al 2009 (dati del ministero dell’Economia). Il problema è l’incrocio fra struttura dei conti locali e regole di finanza pubblica. Le spese correnti “resistono” perché in parte sono incomprimibili (servizi essenziali e personale, con la stretta del turn over che produce risparmi solo a lungo termine), mentre la crisi economica aumenta la domanda di interventi sociali; l’azione, quindi, si concentra sulle spese per investimenti, tanto più che il Patto mette sotto particolare osservazione proprio i pagamenti in conto capitale. Risultato: si investe di meno, e si paga sempre più tardi, anche se i soldi in cassa ci sono, perché gli obiettivi di saldo (entrate meno uscite) fissati dalle manovre rilevano i pagamenti in conto capitale e non quelli di parte corrente. Secondo l’ultima rilevazione del l’Ance, l’associazione dei costruttori edili, il ritardo medio viaggia intorno ai 114 giorni, e il 77% delle imprese denuncia un peggioramento rispetto all’anno scorso. Le sole Province, nei giorni scorsi hanno denunciato di avere 2 miliardi bloccati in cassa dal Patto: liberarle, però, imporrebbe di trovare coperture altrove per non cambiare i saldi della manovra.


www.lagazzettadeglientilocali.it