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I chiarimenti sull'esenzione possono alzare il conto
Il meccanismo. Salve solo le entrate che in complesso non superano la soglia comunale

Le esenzioni all’addizionale Irpef sono riservate ai contribuenti che dichiarano entrate complessive inferiori alla «no tax area» decisa dal Comune, e non si applicano alle quote “iniziali” del reddito di chi può contare a fine anno su entrate più consistenti della soglia indicata dal sindaco. Gli enti locali, poi, possono continuare a differenziare le richieste in base alla ricchezza dei redditi dei contribuenti, ma la gerarchia dell’addizionale deve seguire la scansione degli scaglioni disegnata dalla legge sull’Irpef nazionale. Sono le due novità portate alla disciplina delle addizionali comunali dalla manovra-bis, che ha messo in calendario per il 2012 il ritorno della libertà fiscale per i sindaci entro la soglia massima dello 0,8% (0,9% a Roma). La ristrutturazione delle regole, spiega la stessa norma, nasce per «assicurare la razionalità del sistema tributario», ma l’obiettivo sembra raggiunto solo a metà. La regola sulle esenzioni, in effetti, è chiara, e segue il meccanismo già previsto in molti Comuni che hanno deciso in questi anni di salvaguardare i redditi più bassi. A introdurre soglie di esenzione, secondo il monitoraggio completo del dipartimento Finanze relativo al 2010, sono 1.026 Comuni, cioè un ente ogni sei fra quelli che applicano l’addizionale. Una parte di questi enti spiega già nel regolamento che l’esenzione riguarda «i soggetti con un reddito ai fini Irpef inferiore a X»; più complicata la situazione quando il regolamento dice che l’esenzione si riferisce «ai redditi fino a X», aprendo la strada a interpretazioni che salvano dall’addizionale anche una parte di redditi che nel loro complesso sono superiori. Il chiarimento della manovra-bis porta in questi casi un aumento del prelievo, anche se il Comune non tocca l’aliquota. Per un reddito da 50mila euro in un Comune con soglia a 15mila trattata come una “franchigia”, infatti, la richiesta di un’addizionale al 5 per mille è di 175 euro all’anno, ma con la disciplina imposta dalla manovra sale a 250 euro perché l’aliquota viene applicata a tutto il reddito. Il riferimento a «specifici requisiti reddituali», poi, sgombra il campo da altre manifestazioni della creatività comunale, come quelle che esentano dal pagamento solo i redditi (inferiori a un dato valore) di pensione o lavoro dipendente, o di chi ha due o più figli a carico. Nella nuova disciplina deve contare l’ammontare del reddito. Dove l’obiettivo della «razionalità» pare mancato è sul fronte degli scaglioni. Il riferimento alla piramide dei redditi indicata dall’Irpef nazionale offre una griglia alle scelte comunali, ma non chiarisce le modalità con cui si applica la progressività. Se, per esempio, un Comune chiederà lo 0,2% fino a 15mila euro di reddito, lo 0,4% fino a 28mila e lo 0,6% sopra questa soglia, che cosa dovrà pagare chi dichiara 50mila euro? Il livello del reddito deciderà l’aliquota che si paga su tutte le entrate, oppure il reddito di ogni contribuente sarà diviso in scaglioni come per l’Irpef nazionale? Tradotto in cifre, il contribuente da 50mila euro pagherà 300 euro (lo 0,6% di 50mila) o solo 214, applicando il meccanismo dell’Irpef nazionale? La prima soluzione ha il pregio della chiarezza, la seconda quello della progressività: la manovra non indica in modo univoco nessuna delle due lasciando aperto il campo alle diverse interpretazioni locali.


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