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Fondi strutturali solo con i conti in ordine
Bilancio Ue. Mercoledì il dibattito in Commissione: tra le novità un premio per chi è più efficiente e la creazione di una fascia intermedia di regioni

Fondi strutturali solo per i Paesi virtuosi. Con la chiusura automatica dei rubinetti in caso di allarme rosso su deficit e debito oltre le soglie consentite dal Patto di Stabilità europeo. È questo il piatto forte del dibattito che si terrà dopodomani, mercoledì 5 ottobre, alla Commissione Ue. L’esito delle discussioni porterà alla proposta di riforma delle politiche strutturali per il 2014-2020. Il menù, ancora provvisorio, prevede anche un premio alla qualità e all’efficienza nell’utilizzo dei fondi, con una corsia preferenziale per le Pmi. Un’altra novità dovrebbe riguardare la creazione di una terza fascia di regioni intermedie e la possibile estensione del fondo di globalizzazione al settore agricolo. Dopo la grande cornice del Quadro finanziario pluriennale approvata dalla Commissione a fine giugno e ora al vaglio dei vari Paesi, la proposta sui fondi strutturali è un tassello aggiuntivo del puzzle. Non di poco conto, perché le risorse previste riguardano una torta di 376 miliardi euro, oltre un terzo del bilancio europeo. La parola d’ordine – spiegano fonti dell’esecutivo europeo – sarà «condizionalità», nel bilancio pubblico come nella gestione dei fondi strutturali. Sul primo punto la discussione è ancora aperta, mentre sul secondo i Commissari sembrano già d’accordo. Se passerà, il principio che lega l’allocazione dei fondi allo stato di salute del bilancio pubblico sarà un incentivo in più per i Paesi sotto stress, come l’Italia, a rispettare gli impegni presi. Un vincolo che diventa ancora più stretto alla luce della nuova governance economica europea appena approvata dall’Europarlamento e domani sotto la lente del Consiglio Ecofin (si veda a pagina 9). Questo significa che chi non riporta il deficit sotto la soglia del 3% e il debito sotto la barra del 60% del Pil rischierebbe non solo le sanzioni automatiche della Commissione, che con le nuove regole diventano ancora più stringenti, ma anche la sospensione dei contributi europei. Era invece atteso da tempo il giro di vite legato all’efficienza della gestione dei fondi, annunciato anche nell’ambito nella proposta sul bilancio 2014-2020. A fine novembre nell’ambito della Quinta relazione della Commissione sulla coesione economica, Bruxelles aveva ipotizzato di «offrire incentivi per rendere il più efficiente e ambiziosa possibile l’attuazione dei programmi. Una quota di finanziamenti – si legge nel documento – potrebbe venire accantonata e messa a disposizione delle amministrazioni nazionali in funzione della qualità dei programmi e dei progressi compiuti». Se passerà, come sembra, anche in questo caso per l’Italia potrà essere una scossa per uno scatto in avanti: secondo una rilevazione dell’esecutivo Ue aggiornata a metà settembre con una media del 18,1% delle risorse spese rispetto a quelle allocate, la Penisola è al terzultimo posto come “tasso di assorbimento” dei fondi strutturali. Fanno peggio solo Romania (14,7%) e Bulgaria (18,6%). Al polo opposto Lituania (42%), Estonia (40,3%) e Irlanda (38,3%). Dovrebbe trovare d’accordo tutti i Commissari anche l’ipotesi di inserire come obiettivo prioritario di destinazione i progetti legati a innovazione, ricerca ed efficienza energetica delle Pmi. Sembra anche trovare consensi l’idea di creare una terza fascia di regioni intermedie tra quelle ex Obiettivo 1 ed ex Obiettivo 2, per sostituire l’attuale sistema transitorio. Per l’Italia rientrerebbero Abruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna, con una popolazione inferiore ai 4 milioni di abitanti, mentre sarebbero favorite Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna che hanno regioni importanti e popolose e potrebbero quindi aggiudicarsi maggiori risorse. Tra i temi sul tappeto anche l’ipotesi, cara alla Francia, di estendere al settore agricolo il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (Feg), a sostegno dei lavoratori che hanno perso il lavoro in seguito alla crisi o alla delocalizzazione.


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