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A rischio il 90% dei comuni
Nell'Alessandrino danni limitati ma l'allarme frane resta alto

Frane estese e in lento movimento, smottamenti improvvisi, una rete di canali “dimenticati” da anni, manutenzione approssimativa, mancanza di una prevenzione globale. Non c’è molta differenza fra un capoluogo, Alessandria, dove a fronte di una pesante antropizzazione (con presenze industriali e quartieri in aree a rischio idrogeologico) continuano a mancare ordinarie opere di manutenzione e di difesa idraulica, e le zone più periferiche della provincia in cui le numerose frane si misurano in decine di chilometri, su 190 Comuni il 90% è a rischio e i torrenti minori privi di manutenzione fanno anch’essi i conti con opere idrauliche approssimative. È una provincia davvero di confine quella alessandrina. Da una parte il lato piemontese dell’Appennino dove il progressivo abbandono dei terreni da parte degli agricoltori ha visto la natura riprendersi gli spazi in modo selvaggio e incontrollato, senza però che l’uomo rinunciasse a costruire (dove non si doveva) su un terreno geologicamente molto giovane e in costante movimento. Dall’altra parte, l’Appennino ligure che spesso scarica sull’Alessandrino grandi masse d’acqua durante le perturbazioni che con forza sempre più intensa si abbattono sulla regione. Il risultato? Che tutti i problemi a monte arrivano a valle. Dove la provincia alessandrina deve fare i conti anche con quelli non sempre suoi: i fiumi Po e Tanaro (e in parte Bormida) che raccolgono quasi tutta l’acqua che cade in Piemonte e che passano proprio da Alessandria. Le pesanti esondazioni non sono sempre e solo un caso. Quella del 1994 (12 morti nel capoluogo) ha insegnato? Qualcosa. Alcuni Comuni hanno introdotto norme più rigide. Pianificazione e controlli hanno permesso di fare qualche passo in avanti sul fronte della tutela ambientale. Oggi però nella terza provincia del Piemonte per emergenza idrogeologica si continua a pagare un prezzo alto a un passato di cementificazione e crescita disarmonica. Le arginature lungo l’asta del Tanaro laddove sono state realizzate rispettano previsioni di piene standard. Ovvero, se il livello dell’acqua supera le stime formulate a tavolino, è alluvione. Il rimbalzo delle competenze sui corsi d’acqua (fra Aipo, l’Agenzia interregionale per il fiume Po, e Regione Piemonte) certo non aiuta, però è quando si sommano burocrazia, taglio delle risorse, gestione approssimativa da parte degli enti territoriali ed eventi climatici estremi che il quadro si complica. Nelle zone più alte delle valli Curone e Borbera (e su una vasta area dell’Acquese) i movimenti franosi sono controllati da anni attraverso strumentazioni che però hanno bisogno di manutenzione. E di personale che le verifichi. Ma anche in questo caso le competenze si mettono di traverso. Sono affidate a Regione Piemonte e Arpa (Agenzia per la protezione ambientale) che controllano e inviano i rapporti ai Comuni. Ma se anche questi sono alle prese con tagli drastici delle risorse, come possono agire sulle aree vaste e scarsamente abitate dell’Appennino? Problemi analoghi a quelli della Provincia. Ha la competenza su oltre 2.200 chilometri di strade. Dove smottamenti, crolli e frane abbondano, sia nelle zone collinari del Basso Monferrato, sia in quelle appenniniche. Le ultime rilevate sono una ventina. La spesa per intervenire? Almeno due milioni di euro. Solo per queste. Perché il violento maltempo di marzo ha, per esempio, lasciato in eredità, fra movimenti franosi e smottamenti, danni per 15 milioni.


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