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Per la vera meritocrazia arriva un altro rinvio

Se i Comuni «virtuosi» nella realtà fossero davvero solo due ogni cento, saremmo rovinati. Se però quelli ufficialmente «virtuosi» fossero di più, sarebbero rovinati tutti gli altri. Il nuovo tentativo di introdurre la meritocrazia nel Patto di stabilità si è ingarbugliato intorno a questo paradosso, determinato dai «premi a costo zero» imposti dallo stato delle finanze pubbliche. Gli sconti ai «virtuosi» vengono compensati da rincari per gli altri Comuni, e per evitare che il tutto si trasformi in una mazzata per molti sindaci, la legge di stabilità fissa un tetto massimo alle richieste a chi resta escluso dalla «prima classe». Risultato: le risorse per premiare i «virtuosi» sono ridotte al lumicino, e bastano per pochi. Se poi tra i premiati ci saranno grandi Comuni, i pochi si trasformeranno in pochissimi. L’acceso dibattito estivo sulla meritocrazia, spinta soprattutto dalla Lega, ha partorito un topolino, buono per qualche comizio ma quasi irrilevante per la realtà dei conti locali. C’è da sperare, almeno, che gli indicatori scelti offrano una prova migliore di quelli usati due anni fa, quando la prima prova fu archiviata in fretta perché finì per premiare Comuni sull’orlo del dissesto (Catania) o appena falliti (Taranto).


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