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Fisco pesante sul mattone
Già oggi pressione dal 40% al 79%, il livello medio è sopra il 60%

Agli occhi del Fisco il mattone ha un grosso pregio: è visibile, registrato in banche dati dettagliate, e può trasformarsi in un bancomat in maniera molto più semplice rispetto alle plusvalenze finanziarie e ai titoli mobiliari in genere.
Anche per questo, naturalmente, gran parte delle ipotesi fiscali che ingombrano il cantiere della nuova manovra correttiva puntano su casa e dintorni. Non c’è solo il ritorno dell’Ici sull’abitazione principale, magari nelle nuove vesti “federaliste” dell’Imu: anche la patrimoniale guarda nella stessa direzione, e gli immobili di ogni tipo, dal monolocale in periferia al capannone industriale passando per uffici e negozi, sarebbero investiti dalle conseguenze di una rivalutazione delle rendite catastali, base di calcolo di quasi tutte le imposte rivolte ai proprietari del mattone. Un dibattito tutto puntato sulla neutralità fiscale della prima casa, però, rischia di oscurare un dato chiave: una rivisitazione del fisco immobiliare non partirebbe da «quota zero». Anzi. Per chi guarda al mattone con gli occhi dell’investitore, i problemi già «in vigore» non sono pochi, soprattutto dalle parti degli immobili strumentali alle imprese. Per capirlo, basta fare i conti in tasca a chi concede in affitto per 35mila euro all’anno un capannone di circa mille metri quadrati in una zona industriale di una media città (valore catastale poco superiore a 1,7 milioni). Il Comune di residenza si presenta ai cancelli chiedendo oltre 12mila euro all’anno di Ici (aliquota del 7 per mille), poi tocca al Fisco nazionale. Se il proprietario dell’immobile è un contribuente Irpef, il conto può arrivare a 15.050 euro all’anno, se invece si tratta di un’impresa la richiesta si sdoppia: 9.625 euro di Ires e 1.365 euro di Irap. Del canone, alla fine rimane poco: le imposte assorbono il 67,3% se il proprietario è in campo Ires, e toccano il livello ancora più stellare del 78,9% se si tratta di un contribuente Irpef. I pochi strumenti per alleggerire il conto offrono un sollievo molto parziale, e limitato a pochi casi: dall’imponibile Ires e Irap si possono dedurre infatti i costi di manutenzione dell’immobile, ma entro il tetto del 15% del canone. Tradotto in pratica, lo sconto massimo sull’imposta arriva al 4,7%, e non può essere replicato ogni anno.
I calcoli si fanno più articolati quando l’immobile è un’abitazione: una novità significativa, soprattutto quando il proprietario ha un’aliquota Irpef medio-alta, è data dalla cedolare secca, che abbassa il conto (con le altre imposte la redditività netta si aggira sul 73% ma non sempre è applicabile). Con la tassazione ordinaria il reddito scende al 56,3% se l’aliquota Irpef marginale è quella massima.
Le ipotesi di ulteriori aggravi, quindi, dovrebbero essere valutate con estrema cautela. E il già avvenuto aumento dell’Iva su case di lusso e immobili non abitativi sta avendo effetti depressivi sul mercato. «Con una redditività così risicata – dice Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia – diventa difficile immaginare che il mattone continui a rappresentare una scelta appetibile per gli investitori. Se alla pressione fiscale aggiungiamo il calo degli affitti, c’è da aspettarsi pesanti disinvestimenti, con effetti a catena assai pericolosi per il mercato». Anche per Gabriele Bruyère, neo presidente dell’Uppi (piccoli proprietari) «il primo immediato contraccolpo della manovra, come è stata paventata, è stata una flessione del valore commerciale degli immobili».


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