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Il divario prezzi-salari tocca i massimi dal ’97
Nel pubblico l’incremento è stato solo dello 0,6%

Zero. Il tanto temuto numero che indica la stagnazione delle retribuzioni, e che divarica ancora di più la forbice tra stipendi e inflazione, è arrivato: l’indagine Istat sui contratti collettivi e le retribuzioni contrattuali indica infatti una variazione nulla delle retribuzioni contrattuali orarie ad ottobre rispetto a settembre. Con un incremento che, rispetto all’ottobre 2010, si ferma all’1,7%: esattamente la metà del balzo compiuto nel medesimo periodo dai prezzi (3,4%), spinti innanzitutto dall’aumento delle bollette energetiche e dell’Iva. Un valore mai registrato dal 1997. Il risultato è che, di fatto, i lavoratori dipendenti si sono ritrovati più poveri, con una distanza tra aumento dei salari e inflazione di 1,7 punti, più alto di quello registrato a settembre (1,3 punti). La riduzione del potere di acquisto è ancora più forte per i lavoratori statali, sui quali grava il blocco della contrattazione fino al 2014 che, secondo quanto deciso dalla manovra di luglio, rischia di andare avanti anche per il triennio che va dal 2015 al 2017. Tanto è vero che nel pubblico il tasso tendenziale (anno su anno) di incremento dei salari si è fermato allo 0,6%. Ma la situazione non è rosea nemmeno per i dipendenti privati, dove le retribuzioni sono cresciute dell’ 1,9%. Contribuisce allo stop delle retribuzioni anche il fatto che nel mese di ottobre nessun accordo contrattuale in attesa di rinnovo, tra quelli presi in esame dall’Istat, è stato siglato. Il risultato è che, alla fine del mese, la quota di lavoratori dipendenti in attesa di rinnovo contrattuale è del 33,1% nel totale dell’economia e del 12,9% nel settore privato, con dei tempi di attesa totali che sono rispettivamente di 22,4 e di 23,4 mesi. In numero, i contratti in attesa di rinnovo sono alla fine di ottobre 31, di cui 16 appartenenti alla pubblica amministrazione, che riguardano un totale di circa 4,3 milioni di dipendenti, tre milioni circa nel pubblico impiego. Segnali preoccupanti vengono anche dai dati Istat per il lavoro e le retribuzioni nelle grandi imprese oltre 500 addetti. A settembre l’occupazione ha registrato rispetto ad agosto una variazione nulla sia al lordo sia al netto della Cig, con una discesa però rispetto a settembre 2010 dello 0,6% al lordo della Cig e dello 0,4% al netto. In calo tendenziale anche le ore lavorate per dipendente (1,2%). Scende anche la retribuzione lorda per ora lavorata:1,2% congiunturale e 2,1% tendenziale. L’incremento della forbice salari/inflazione è stato commentato con preoccupazione da diverse associazioni sindacali. Per Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil, i dati Istat sono «la fotografia di un sistema produttivo in gran parte bloccato e di una occupazione che diminuisce e si impoverisce, in qualità e remunerazione, subendo per prima e direttamente le conseguenze della crisi. Per non chiudere imprese e non perdere lavoro  aggiunge Fammoni  occorrono tutele straordinarie e scelte per lo sviluppo e la ripresa». Nazzareno Mollicone, segretario confederale Ugl, ha definito la situazione «allarmante», e ha sottolineato la necessità di «intervenire subito con una riduzione sensibile della tassazione».


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