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Province, rivoluzione low cost
Il governo Monti corregge il tiro. Sarà una legge (ma non si sa quando) a fissare la dead line

Dietrofront del governo sulle province. Gli organi attualmente in carica non decadranno, come previsto nella prima versione della manovra, con il trasferimento delle funzioni entro il 30 aprile 2012, ma sarà una legge dello stato (chissà quando) a fissare l’uscita di scena delle giunte, dei consigli e degli attuali presidenti per far posto al restyling voluto da Mario Monti.
Una rivoluzione (si veda ItaliaOggi di ieri) che per il momento può attendere. Anche perché i reali benefici per l’erario saranno poca cosa.
La relazione tecnica alla manovra (dl 201/2011 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 284 di ieri) certifica il valore esclusivamente simbolico di un intervento che farà risparmiare solo 65 milioni di euro lordi l’anno dal 2013. Le cifre emerse lunedì nell’assemblea dell’Upi sembrano essere ben chiare al governo e del resto provengono dalla stessa università di Monti, la Bocconi di Milano.
I costi della politica provinciale ammontano, in base ai dati del sistema Siope (il sistema informatico che monitora le operazioni degli enti territoriali), a non più di 130 milioni di euro, di cui solo il 50% verrà risparmiato grazie alla trasformazione delle province in enti di secondo livello, perché presidenti e consigli resteranno comunque in piedi, seppur in forma riveduta e corretta. Il governo non azzarda invece ipotesi sui benefici derivanti dal passaggio (dalle province ai comuni o alle regioni) delle risorse umane, finanziarie e strumentali. Non ci saranno risparmi per il momento e in ogni caso se si riuscirà a mettere da parte qualcosa in futuro si tratterà di risparmi «destinati a prodursi nel tempo, attraverso la razionalizzazione dell’assetto organizzativo e lo sfruttamento delle economie di scala», si legge nella relazione.
Per l’Upi (che lunedì aveva puntato il dito proprio sull’inutilità della riorganizzazione per le casse statali e sull’incostituzionalità del metodo usato che avrebbe fatto decadere in corso di legislatura organi democraticamente eletti senza aspettarne la scadenza naturale) si tratta di due buone notizie in un colpo solo. Segno che il governo ha preso atto dei rilievi del capo dello stato, Giorgio Napolitano, poco propenso ad avallare una norma che prevedesse la decadenza in corso d’opera. E ha agito di conseguenza sostituendola con una previsione generica che demanda a una legge dello stato (da approvare senza una scadenza temporale ben precisa) l’individuazione del termine per far scattare la tagliola.
Ma il presidente dell’Upi, Giuseppe Castiglione, non riesce comunque a sorridere. «La versione definitiva della manovra non sposta di una virgola la posizione e il giudizio nettamente negativo espresso dall’Upi in questi giorni. L’articolato deve essere stralciato dal decreto, perché le riforme istituzionali, per avere un effetto reale di riduzione della spesa pubblica, non possono essere improvvisate e devono essere condivise e complessive», ha dichiarato al termine dei lavori dell’Assemblea che si è chiusa ieri a Roma. Se così non sarà l’Upi farà ricorso alla Consulta contro una norma che «come affermano illustri costituzionalisti, incide su una materia che gode di copertura costituzionale e lede l’autonomia organizzativa degli enti garantita dalla Carta».
Intanto le province inchiodano Pdl e Pd alle responsabilità delle proprie scelte. Castiglione «a nome dei 37 presidenti di provincia del Pdl» ha chiesto al proprio segretario Angelino Alfano «di chiarire quale sia la posizione del partito sulle norme previste dalla manovra economica». E la stessa cosa ha fatto Antonio Saitta, presidente Pd della provincia di Torino, con Pierluigi Bersani. «A nome dei 44 presidenti di provincia del Pd chiedo un incontro urgente al segretario perché sarebbe davvero grave se il dibattito parlamentare su queste norme si avviasse senza la consultazione dei presidenti di provincia». Troppo facile, infatti, scaricare la paternità di una riforma del genere su un governo tecnico.


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