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Province, intoccabili gli organi in carica
Rischio di incostituzionalità dietro il ripensamento

Il decreto legge n. 201/2011 contiene alcune disposizioni normative particolarmente rilevanti per le province. Il provvedimento normativo del governo Monti non ne prevede la soppressione, mantenendone la natura di enti locali territoriali nei quali si articola l’ordinamento repubblicano ai sensi dell’art. 114 della Costituzione. Il decreto, invece, incide sugli organi e sulla loro composizione: sparisce la giunta provinciale, vengono mantenuti il presidente della provincia e il consiglio, il primo eletto dall’organo assembleare e il secondo composto da non più di dieci componenti, eletti non dal corpo elettorale ma dagli organi elettivi dei comuni ricadenti nel territorio della provincia. Ora, la materia oggetto dell’intervento governativo ricade nella previsione costituzionale dell’art. 117, comma 2, lett. p), che affida alla potestà legislativa esclusiva dello stato la «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province, città metropolitane». Si tratta di un’espressione sulla quale, anche recentemente, la Corte costituzionale (si veda la sentenza n. 261/2011), pur potendone precisare portata ed estensione, non è intervenuta. Un primo problema, allora, che si pone è se, nella dizione «organi di governo di comuni, province e città metropolitane», il termine «organi» si riferisca unicamente ai rapporti tra questi organi e al numero dei loro componenti, oppure includa anche il tipo di organi. In questo secondo caso, sarebbe perfettamente legittima la soppressione delle giunte provinciali. Un’interpretazione, tuttavia, a sostegno della configurazione dell’assetto attuale delle realtà provinciali si potrebbe desumere implicitamente dall’art. 114 della Carta che, quando menziona le province, non fa mai riferimento a un ente sradicato dalla tradizione storicogiuridica italiana, ma a un modello ben preciso, articolato in tre organi di governo fin dalla sua istituzione avvenuta con il regio decreto n. 3702/1859 (c.d. decreto Rattazzi). In questo quadro, inoltre, ci si potrebbe domandare se il consiglio provinciale debba mantenere il sistema di elezione a opera del corpo elettorale oppure se la scelta operata dal dl 201 sia costituzionalmente possibile. Una risposta in senso favorevole alla prima alternativa potrebbe venire dal raffronto con gli altri organi delle diverse articolazioni della Repubblica di cui all’art. 114 Cost., rappresentativi del corpo elettorale, per i quali l’elezione è a base popolare sia pure tenendo distinto il livello di sovranità che spetta alle camere rispetto a quello di autonomia proprio dei consigli regionali, provinciali e comunali; una seconda risposta, potrebbe desumersi dal fatto che l’elezione popolare garantirebbe, nella prospettiva della democrazia rappresentativa, un processo decisionale certamente più trasparente e aperto. Un ulteriore problema riguarda la circostanza in ragione della quale le funzioni conferite alle province nel quadro normativo attuale, devono essere trasferite, entro il 30 aprile 2012, ai comuni da parte delle regioni e dello stato secondo le rispettive competenze. In un sistema delle autonomie articolato su più livelli di governo, come quello delineatosi in Italia dopo la modifica del titolo V nel 2001, anche il rapporto tra regioni, stato ed enti locali territoriali deve essere informato al principio di leale collaborazione. Il decreto Monti pare, invece, eluderlo, non prevedendo alcun meccanismo di raccordo e di concertazione. Da ultimo, quale dubbio di costituzionalità suscita la norma dell’art. 23, comma 20, secondo cui gli organi in carica delle province decadono nel termine stabilito con legge dello stato. Sebbene con riguardo all’ordinamento degli enti locali di una regione a statuto speciale, la Corte costituzionale, con sentenza n. 48/2003, ha affermato il principio secondo il quale la normativa regionale non può mai pregiudicare il diritto degli enti elettivi e dei rappresentanti eletti al compimento del mandato conferito nelle elezioni stesse. Se, allora, questo vale nelle regioni a ordinamento differenziato, in base a quale criterio non può essere esteso a tutto il sistema delle autonomie locali?  


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