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Nei Comuni del Friuli il debito è ai massimi
Per la legge di stabilità anche i sindaci devono ridurre il passivo

La doppia stretta al debito con la legge di stabilità, e un taglio al fondo di riequilibrio con il decreto «salvaItalia», che rischia di coprire soprattutto il Nord perché la sforbiciata sarà più profonda dove il gettito medio del Fisco immobiliare è più alto. Il dicembre intenso dei conti pubblici coinvolge ancora una volta in pieno i Comuni, con una novità: anche i sindaci vengono arruolati nella lotta nazionale al debito pubblico, con una regola che per la prima volta impone la riduzione dello stock di passivo accumulato negli anni. I dettagli saranno definiti con un decreto del ministero dell’Economia, ma la regola fissata nella legge di stabilità è già chiarissima: chi è più indebitato della media, dovrà ingegnarsi per ridurre l’esposizione, prima di tutto vendendo il patrimonio. La legge si preoccupa anche di stabilire le sanzioni per chi non taglierà il debito considerato eccessivo dalla legge statale: blocco totale dei contratti, compreso il rinnovo di quelli a tempo determinato e delle collaborazioni, e freno alla spesa corrente entro il livello medio registrato negli ultimi tre consuntivi. Il parametro messo nel mirino dalla nuova regola non è il debito in valore assoluto, ma la sua consistenza in rapporto agli abitanti. Spulciando negli ultimi certificati consuntivi dei Comuni raccolti nella banca dati AidaPa emerge una estrema variabilità dei dati, con un livello medio di indebitamento nelle Regioni a Statuto speciale fra cui primeggiano i Comuni del Friuli Venezia Giulia. Il primatista assoluto è Barcis, 256 abitanti in provincia di Pordenone, che con i suoi 4,9 milioni di euro di indebitamento totale registra più di 18mila euro di passivo per ogni suo residente, e scala dunque anche le classifiche nazionali. In Veneto, invece, il livello più alto si incontra a Malcesine, punta nord della provincia di Verona affacciato sul Lago di Garda, che nell’ultimo certificato consuntivo disponibile (2009) sfiora i 5.100 euro per ciascuno dei suoi 3.750 abitanti. Numeri come questi mostrano uno dei rischi più minacciosi che possono derivare dall’applicazione della nuova regola tagliadebito. L’obiettivo della norma è quello della riduzione del debito complessivo della Pubblica amministrazione, che rappresenta la minaccia principale alla sostenibilità dei conti pubblici italiani, e il riferimento a un parametro proporzionale alla dimensione demografica di ogni singolo ente serve a evitare di concentrarsi solo sui Comuni più grandi. L’assunzione del valore procapite, però, senza correttivi può ottenere l’effetto contrario, perché in un bilancio piccolo come quello degli enti sotto i 5mila abitanti basta un solo mutuo a far saltare ogni parametro, e di conseguenza a impedire qualsiasi investimento per gli anni a venire. A Barcis, per esempio, basta guardare le dinamiche degli ultimi anni per individuare i fattori alla base del primato: rispetto al 2000, per esempio, il Comune ha perso 64 abitanti, che sembrano pochi ma rappresentano il 20% della popolazione. Il picco della spesa per investimenti, poi, si è registrato tra 2001 e 2002, raggiungendo i 50mila euro, per poi attestarsi a livelli cinque volte inferiori. Ogni piccolo Comune, insomma, ha una sua storia, ma la tagliola uguale per tutti rischia di ipotecarne le scelte amministrative senza, tutto sommato, portare grossi benefici al bilancio pubblico complessivo vista l’entità dei singoli debiti in gioco. Anche perché, oltre a stringere sullo stock di «rosso», la legge di stabilità taglia anche i limiti alle spese per interessi, che bloccano ogni possibilità di contrarre nuovi mutui: un altro elemento di paralisi amministrativa, che rischia ancora una volta di concentrare i propri effetti sui Comuni mediopiccoli, con bilanci poco flessibili.


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