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Il caro-acqua affoga il Pd emiliano
Sindaci e presidenti di provincia dicono sì agli aumenti di Hera

La guerra dell’acqua è scoppiata in Emilia-Romagna e il Pd si trova in un cul de sac. Ha proposto l’aumento della tariffa, provocando l’insurrezione, in primo luogo, dei pensionati e di chi ha problemi di lavoro, la disobbedienza dei sindaci leghisti che hanno annunciato che non applicheranno il rincaro, il dissenso degli esponenti Prc spesso alleati in sede locale, l’accusa di tradimento dello spirito referendario da parte dei referendari.
I 32 sindaci e i presidenti delle province emiliano-romagnole, pidiessini, riuniti per decidere di approvare la richiesta della multiutility Hera (a maggioranza pubblica) di aumentare le tariffe sono stati salutati da un lancio di monetine e dallo slogan: «ladri,ladri, siete peggio di Craxi».
La riunione ha formalizzato un aumento medio del 6 % per il prossimo anno delle bollette dell’acqua, votato all’unanimità, tra contestazioni, tentativi di interrompere l’assemblea e ripetuti lanci di monetine.
L’ira dei contestatori è verso il Pd, che si era schierato nella campagna referendaria contro la privatizzazioni delle reti idriche e il libero uso dell’«acqua bene pubblico». Salvo poi, in questo periodo natalizio e coi media impegnati a illustrare regali e cenoni, decidere per il caro-bolletta. Chi ha votato al referendum per il no alla privatizzazione sollecitato (anche) dal Pd si ritrova ora con l’acqua pubblica più cara. Un risveglio indigesto per molti cittadini, che hanno cercato di bloccare l’aumento delle tariffe. A farne le spese anche Daniele Ruscigno, sindaco di Monteveglio, sul primo appennino bolognese, costretto al ghiaccio in testa perché centrato da una monetina. Anche Beatrice Draghetti, presidente della Provincia di Bologna, ha subìto una pioggia di monetine.
Contestata è pure la decisione di mantenere in bolletta per i prossimi 5 anni la voce «oneri finanziari» che vale da sola il 5.36% della tariffa idrica. «Sono normali voci di bilancio», spiega l’assessore provinciale bolognese all’ambiente, Emanuele Burgin. Ma i manifestanti si sono sentiti traditi: «A pochi mesi dal referendum che ha decretato la ripubblicizzazione dell’acqua», commenta Andrea Caselli, leader dei comitati per l’acqua pubblica, «i sindaci si sono riuniti di nascosto e hanno deciso un aumento. È la riproposizione mascherata della vecchia remunerazione del capitale garantita che il referendum ha bocciato. Quello che democraticamente è uscito dalla porta rientra dalla finestra». In questo modo l’esito del referendum si ritorce su chi credeva d’averlo vinto, che dovrà mettere mano al portafoglio. Anche Cgil, Cisl e Uil contestano il Pd e definiscono ambigua la convenzione con Hera e il maggiore costo dell’acqua: «Sotto la voce “oneri finanziari” si mantiene il meccanismo di salvaguardia degli incassi per il gestore e si penalizza l’utilizzo parsimonioso della risorsa idrica».
A difendere il rincaro ci prova il sindaco pidiessino di Imola, Daniele Manca: «Tutto risale al 2007 quando a Bologna fu fatto un accordo secondo il quale sarebbe stato sufficiente l’aumento del consumo di acqua, senza aumentare le tariffe, per colmare un disavanzo di Hera che all’epoca ammontava a 30 milioni di euro. L’aumento nei consumi non c’è stato, il disavanzo non si è colmato ed ecco che i rincari sono necessari. Vorrei aggiungere che non si pone la stessa enfasi su rincari ben più sostanziosi come quello dei carburanti o dell’energia elettrica». Ma Hera ha registrato nell’ultimo bilancio un utile di 84 milioni di euro, distribuito tra i Comuni che ne sono azionisti. Quindi i Comuni attraverso l’aumento dell’acqua realizzano un beneficio al proprio bilancio.
La sollevazione contro il caro-acqua ha provocato la disobbedienza dei sindaci leghisti, capeggiati da quello di Sassuolo, Luca Caselli: «Le tariffe rimarranno quelle attuali», dice. E il “suo” assessore all’Ambiente, Cristiana Nocetti, spiega: «Riteniamo politicamente sbagliato ed economicamente dannoso incidere con un aumento di tale entità sul costo di un bene primario, tanto più nel momento in cui sulle famiglie e sulle imprese peserà il fardello di altri aumenti tariffari e di una pressione fiscale sempre più pesante. Accettare l’aumento delle tariffe dell’acqua significherebbe non tenere fede alla nostra richiesta e al nostro impegno di evitare, o comunque contenere, per il triennio in corso, gli aumenti tariffari. Inoltre gli aumenti indicati non sono limitati al 2012 ma saranno replicati costantemente negli anni a seguire. I problemi di Hera non si risolvono impoverendo ulteriormente le famiglie e promettendo di aiutarle con altri soldi pubblici, dato che questo non significherebbe altro che un circolo vizioso che aggiunge al danno privato il danno pubblico».
Un altro j’accuse arriva da Massimo Becchi, presidente di Legambiente di Reggio Emilia: «È paradossale che si aumenti la tariffa del servizio idrico, senza ancora attuare l’esito referendario, che porterebbe a una riduzione della tariffa di circa l’11%. Questo comportamento è uno schiaffo in faccia a tutti i volontari e alle associazioni, come Legambiente, che per mesi si sono impegnati nella campagna referendaria ma, soprattutto, ai 27 milioni di italiani che hanno detto che l’acqua debba stare fuori dalle logiche di mercato. Gli investimenti nelle infrastrutture sono necessari e importanti, basti pensare alla bonifica di tubature in amianto o alla riduzione delle perdite, ma questo non può essere la giustificazione per non rispettare la volontà popolare».


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