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Utility, privatizzazioni a tappe
Sulla cessione delle quote la road map termina nel 2015

Sulla privatizzazione delle utility si torna all’antico. Gli affidamenti in house di valore superiore a 200 mila euro (la nuova soglia individuata dal governo, rispetto agli attuali 900 mila euro) non solo dureranno fino 31 dicembre 2012 (sarebbero dovuti cessare al 31 marzo) ma potranno sopravvivere anche oltre, fino alla naturale scadenza del contratto di servizio, a condizione che la partecipazione detenuta dai soci pubblici si riduca ad almeno il 40% entro il 30 giugno 2013 e al 30% entro il 31 dicembre 2015. Diversamente gli affidamenti termineranno in tali date. La road map sarà la stessa anche per le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del partner privato non sia avvenuta con «gara a doppio oggetto», ossia riguardante al tempo stesso la qualità socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio. Anche in questo caso le gestioni potranno durare fino a naturale scadenza a condizione che le quote in mano pubblica si riducano fino a raggiungere le percentuali di cui sopra entro le predette date. Nella tabella di marcia per favorire l’ingresso dei privati nella gestione dei servizi pubblici locali il governo Monti ripropone tali e quali le norme della riforma Fitto (dl 135/2009) cancellata a giugno 2011 dai referendum sull’acqua pubblica. Il pacchetto liberalizzazioni che andrà venerdì sul tavolo del consiglio dei ministri contiene invece norme tutte nuove sulle dismissioni delle quote da parte dei comuni. Le regole introdotte dal dl 78/2010 (articolo 14, comma 32) e modificate prima dal decreto milleproroghe di fine 2010 (dl n. 225 convertito nella legge n. 10/2011) e poi dalla manovra di Ferragosto (dl 138/2011) restano confermate. Il che significa che i municipi con popolazione compresa tra 30 mila e 50 mila abitanti avranno tempo fino al 31 dicembre 2013 per ridurre a una sola le partecipazioni societarie detenute. Mentre i comuni sotto i 30 mila abitanti dovranno portare a termine le dismissioni entro il 31 dicembre 2012 a meno che le partecipate abbiano avuto il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi, non abbiano subìto riduzioni di capitale sociale e perdite da ripianare. Ma, ferma restando questa disciplina, i comuni, quando avranno esigenza di ampliare i mercati e ripianare i propri debiti, potranno (la norma parla espressamente di «facoltà» e non di obbligo) cedere le proprie quote tramite gara, comunicandone l’esito inizialmente entro il 30 settembre 2012 e poi entro il 30 settembre di ogni anno. L’esito delle procedure dovrà essere comunicato alla neonata unità di missione per la tutela dei consumatori e la promozione della concorrenza nelle regioni e negli locali che sarà istituita presso palazzo Chigi. E a proposito di tutela degli utenti, il pacchetto liberalizzazioni di Monti apre la strada al risarcimento dei danni per violazione degli standard minimi di qualità. Si legge infatti nella bozza di provvedimento che nelle carte di servizio dovranno essere indicati i diritti «anche di natura risarcitoria che i consumatori e le imprese utenti possono esigere nei confronti dei gestori del servizio e dell’infrastruttura». I comuni dovranno acquisire il parere dell’Antitrust sulle delibere con cui decidono di mantenere i regimi di esclusiva sottraendo uno o più settori alla liberalizzazione. La manovra di Ferragosto (dl 138/2011), nell’art. 4 che ha riscritto la disciplina dei servizi pubblici locali dopo i referendum di giugno, non prevedeva tale obbligo e stabiliva solo che la delibera (di cui doveva essere data adeguata pubblicità) dovesse essere inviata all’Antitrust per l’opportuna relazione al parlamento. Ora invece il pacchetto liberalizzazioni del governo Monti condiziona l’adozione della delibera al parere dell’Autorità garante della concorrenza che dovrà pronunciarsi entro 60 giorni sulla base dell’istruttoria svolta dall’ente locale.


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