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Tenere conto delle realtà territoriali

I cittadini hanno il diritto di poter accedere ai beni pubblici in modo semplificato e a costi congrui senza distinzione fra chi è in città e chi è in montagna, al Nord o al Sud. Questo è il fine di ogni politica relativa alla produzione e alla distribuzione di beni e servizi pubblici. Spesso si dice, a volte a ragione, che nel nostro paese questo non accade in molti settori alcuni dei quali chiusi in recinti non accessibili ed esclusi dalla concorrenza. Le professioni sono forse quelle più «tutelate» e sulle quali occorrerebbe una vera svolta liberatrice. Sui servizi pubblici locali siamo in una fase diversa. Le 4 mila aziende partecipate da almeno un comune svolgono funzioni diverse e sono molto differenti le une dalle altre. Non sarebbe corretto in questa materia ipotizzare liberalizzazioni tout court senza chiedersi come stanno oggi effettivamente le cose, soprattutto se il reale obiettivo è la crescita, cioè investimenti e occupazione. L’Italia ha dei fiori all’occhiello che non hanno nulla da invidiare ad aziende private e pubbliche europee e abbiamo invece situazioni di forte inefficienza. Abbiamo settori e territori dove il mercato potrebbe essere interessato e utile a migliorare il servizio e abbassare le tariffe e abbiamo però settori e territori nei quali solo il comune (con le proprie risorse) è in grado di sostenere quel servizio universale (si pensi al sociale). Non a caso delle 4 mila società comunali oltre il 70% operano nei territori dei comuni con meno di 5 mila abitanti. È un caso? Non penso! È il segnale che queste parti del paese rischiano di essere emarginate perché gli imprenditori non le ritengono appetibili o non portano utili. Questi cittadini rischierebbero di essere tagliati fuori dalla raccolta differenziata, dal servizio scuolabus, dalla distribuzione del gas, dai servizi culturali e sportivi e così via se non ci fossero interventi comunque sostenuti dal pubblico. Abbiamo altre zone del Paese dove il processo di erogazione dei servizi è stato affrontato soprattutto e giustamente dal lato industriale e dove si è dato vita a fusioni societarie con l’obiettivo di rendere strutturalmente forti i soggetti erogatori, ampliare i mercati e lavorare alla qualità dell’innovazione. Questo per dire che non è corretto parlare in generalis di liberalizzazioni ma è corretto invece migliorare un sistema attraverso degli interventi mirati. Fare in modo che su tutto il territorio nazionale vi sia una qualità del servizio all’altezza intervenendo solo dove questo non accade (se fate una domanda ai cittadini di Brescia, Varese o Reggio Emilia non penso che ritengano la liberalizzazione dei servizi pubblici una priorità).Trovare una soluzione anche per quei territori dove il mercato non ha interesse ad intervenire (evitando di caricare addosso ai comuni delle prove diaboliche non compatibili con le loro missioni e la loro organizzazione) e non demonizzare in questi casi gli affidamenti in house. Lasciare autonomia agli enti e fare una seria politica industriale che indichi obiettivi chiari sui quali invitare le istituzioni a fare squadra: rafforzare il mercato vuol dire anche puntare alla costituzione di “campioni” in grado di competere (la Germania ha scelto l’acqua, la Francia il Gas). Dividere la proprietà e la gestione delle reti dalla erogazione dei beni e dei servizi. Questi come altri correttivi possono essere adottati senza stravolgimenti. Non è corretto pensare a nuove norme generali ed astratte come se tutto il territorio nazionale fosse omogeneo e tutte le situazioni uguali. La differenza fra cittadini e consumatori nel settore dei servizi pubblici locali è fondamentale. I comuni e lo Stato devono occuparsi di entrambi cercando di contemperare i bisogni e le esigenze con la realtà socio economica di un territorio. La concorrenza nel mercato in astratto è uno strumento che ha le potenzialità per mettere sullo stesso livello i cittadini ed i consumatori ma quando questo non accade la Repubblica deve essere pronta a sostenere con investimenti e misure anche il cittadino che rischia di restare in serie B. Liberalizzare deve essere uno strumento per migliorare la qualità dei servizi non una bandiera da sventolare fine a se stessa.


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