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Enti locali pronti alle barricate contro il Tesoro: no all'esproprio
La decisione di trasferire 8,6 miliardi dalle banche alla Tesoreria scatena le proteste

Per il governo Monti si tratta di alleggerire la morsa del fabbisogno a costo quasi zero; per gli enti locali, invece, si tratta di un esproprio che non sono disposti a tollerare. La norma del decreto legge sulle liberalizzazioni che trasferisce i fondi di regioni, province e comuni dai conti detenuti presso singoli istituti di credito alla Tesoreria di stato vale 8,6 miliardi di euro, a tanto ammonterebbe la giacenza media annua secondo la relazione tecnica. E produce un effetto positivo sull’emissione di titoli di debito pubblico per un risparmio stimato in 320 milioni di euro nel 2012, di 150 milioni nel 2013 e di 150 milioni nel 2014, al netto della ritenuta fiscale del 20%. L’operazione amministrativo-contabile è giustificata dalla necessità di tutelare «l’unità economica della Repubblica» e avrà efficacia fino al 31 dicembre 2014. Il dossier è nelle mani del ministro dei rapporti con il parlamento, Piero Giarda, le cui deleghe ricomprendono la spending review della macchina pubblica. Ma gli enti locali non ci stanno. E in parlamento si stanno già organizzando per trovare una sponda. La Lega Nord è già scesa in campo al senato, dove il decreto legge liberalizzazione è da ieri incardinato. Il vicepresidente della commissione bilancio, il leghista Massimo Garavaglia, attacca: «La finanza locale sarà letteralmente in balia dello stato. Chiediamo ai rappresentanti dei partiti, che fino a ieri si dicevano federalisti, di non consentire l’approvazione di questa rapina ai danni dei cittadini e delle autonomie locali che non avranno più il becco di un quattrino per svolgere le loro funzioni fondamentali». In verità i fondi restano sempre nella disponibilità delle autonomie, ma non più nella tempistica e nella libertà di scegliere l’istituto di credito. Ci sono enti che riescono a contrattare un tasso di interesse anche del 3% sulla liquidità. Lo stato invece darà l’1%. C’è una bella differenza. Il presidente dell’Anci e sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio, dice: «Il governo continua a accentrare tutto, come ha fatto con i taxi, per i quali ha tolto ogni potere decisionale ai sindaci affidandoli a una non meglio definita Authority per i trasporti. Ora ci impone di riversare le nostre entrate nelle casse dello stato, con la scusa che la spesa locale sia fuori controllo. In realtà è vero il contrario, sono le uscite dell’amministrazione centrale a essere incontrollate». Il presidente dell’Upi, l’unione delle province, Giuseppe Castiglione: «Il governo vuole risolvere il problema dei ritardati pagamenti con i soldi di regioni, province e comuni. Altro che federalismo e autonomia: si torna indietro di almeno 50 anni», ha commentato, «per pagare gli stipendi dei nostri dipendenti, i fornitori o sostenere le spese di ordinaria amministrazione dovremo andare a chiedere al tesoriere dello stato». Le regioni per ora sono caute, oggi è prevista una riunione per una valutazione complessiva dei risvolti politici e finanziari della norma. «Quello che è certo è che si è previsto un meccanismo assai dirompente per la finanza locale senza nessun confronto preventivo», commenta Vito De Filippo, governatore della Basilicata. Per Paola De Micheli, responsabile pmi del Pd, «la tesoreria unica ha un senso solo se si tratta di saldare i debiti pregressi della p.a. verso i fornitori e liberare risorse per gli investimenti degli enti locali attraverso una modifica del patto di stabilità. Diversamente si tratta di un ritorno al passato piuttosto pesante». La battaglia in parlamento è assicurata.


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