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Il verbale si può anche dettare

Per far annullare una multa non basta un semplice dubbio sulla percezione dell’agente né il fatto che questi abbia poi fatto stendere il verbale a un collega. E occorre inserire subito nel ricorso tutti i possibili motivi di illegittimità della sanzione. Sono i restrittivi princìpi delle due sentenze depositate ieri dalla sesta sezione civile della Corte di cassazione in materia di multe stradali. Nel primo caso (sentenza n. 1069/12), un automobilista cercava di farsi annullare una multa per sosta sulle strisce pedonali perché il verbale era firmato da un agente diverso da colui che veniva indicato come accertatore dell’infrazione (che transitava in auto e quindi ha avvisato un collega in ufficio). Situazione analoga a una più frequente: i controlli di velocità con pattuglie a bordo strada (il verbale è poi steso da chi esamina le foto). La Cassazione ha applicato in modo restrittivo l’articolo 2700 del Codice civile, che dà fede privilegiata al verbale che attesta fatti avvenuti in presenza del pubblico ufficiale: il testo dell’atto indica che è stato l’agente in strada ad attestare l’infrazione e non conta se poi la firma è di quello in ufficio, che ha riportato quanto visto dal collega. Avendo fede privilegiata, il verbale può essere annullato solo con un’impegnativa querela di falso (cioè denunciando penalmente gli agenti, esponendosi al rischio di controdenuncia per calunnia). Su questo punto, si conferma la linea rigorista cui la Cassazione è tornata a Sezioni unite nel 2009 (sentenza 17355): la querela di falso si può evitare solo su fatti non attestati come avvenuti in presenza dell’agente o se c’è «irrisolvibile contraddittorietà oggettiva» (per esempio, infrazione attribuita a un’auto mentre il numero di targa è di un camion). Nella seconda sentenza, si bocciano definitivamente i ricorsi di un automobilista che aveva parcheggiato male. Inizialmente l’uomo aveva eccepito che il preavviso d’infrazione riportava una violazione diversa da quella poi riportata nel verbale, ma i giudici rilevano che quest’ultimo non ha valore e comunque in questo caso non c’è netta contraddizione tra i due atti; si lamentava poi che mancava il numero civico all’altezza del quale l’auto sostava, ma ciò non lede il diritto di difesa perché lo stesso trasgressore aveva fatto una foto dell’infrazione e l’aveva allegata al ricorso. Poi i legali dell’interessato si sono accorti che l’accertatore era un ausiliario del traffico, che non avrebbe avuto potere, ma lo hanno fatto notare solo in Cassazione, i cui giudici hanno notato che l’ampliamento della materia del contendere è possibile solo quando si ricorre al giudice dopo aver avuto torto dal prefetto. Tra gli altri rilievi tardivi, il fatto che il trasgressore si era adeguato a come avevano parcheggiato altri, ma qui la Corte ha aggiunto che questi sono solo «giudizi apodittici» del ricorrente.


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