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I costi della politica, un affare di parole
La nota politica

Gennaio sta per chiudersi: nulla si vede quanto a ridurre il numero dei parlamentari. I costi della politica restano affidati alle polemiche (vivaci) sulla rete, a qualche articolo (sconsolato) di giornale e alle doglianze (estesissime) della gente. Se i partiti proseguono con quest’andazzo, finiranno col regalare un cospicuo quantitativo di parlamentari a Beppe Grillo e un’adesione mai prima vista al non voto. Le scuse sono svariate. La più immediata consiste nel legare una riforma a un’altra più complessa, così da inibirne, non diremo l’approvazione, ma perfino la discussione. L’esempio più palmare è costituito dal taglio dei parlamentari: prima di farlo, si asserisce, bisogna rivedere il bicameralismo, e poi il federalismo, e ancora il semipresidenzialismo. La rubrica radiofonica Zapping raccoglie centinaia di migliaia di firme per dimezzare i parlamentari e sopprimere i vitalizi. Il giudizio sprezzante del mondo politico si è visto con le polemiche sollevate nella commissione di vigilanza e con le dichiarazioni che questo o quel nominato dalla propria segreteria politica (un tempo si sarebbe detto «eletto dal popolo») si lascia scappare: contro il «qualunquismo», contro i «luoghi comuni sulla casta», contro il «populismo». Le giornate parlamentari scorrono, come ieri, senza che in concreto si assista a una qualsiasi azione per tagliare gli enti pubblici, ridurre l’apparato statale e periferico, contenere le spese, moralizzare il Parlamento. Si accusano, spesso giustamente, le singole categorie di voler tutelare i propri privilegi; ma la casta è talmente compresa di sé stessa dal rifiutare sdegnata finanche la stessa definizione. I provvedimenti legislativi scorrono nelle commissioni e in aula, dal Milleproroghe alle liberalizzazioni, mentre altri se ne annunciano, come la semplificazione; ma il peso del pubblico e della politica non si riduce di un grammo.


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