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«In Sicilia i servizi pubblici divorano 1,3 miliardi l'anno»
L'AFFONDO/Secondo l'associazione, la gestione in house non ga-rantisce un servizio di qualità né alle famiglie né alle imprese

PALERMO – Un mercato che vale, secondo una stima prudenziale, oltre 1,3 mi-liardi l’anno di giro d’affari ma che in questo momento produce solo perdite e oneri per cittadini, imprese e am-ministrazioni locali. Quello dei servizi pubblici locali in Sicilia continua a rimanere il regno incontrastato del cosiddetto socialismo muni-cipale declinato in chiave meridionale con un sostan-ziale monopolio del pubbli-co in settori che, a sentire parecchi esperti, da una e-ventuale privatizzazione po-trebbero ricevere solo bene-fici. Ma oggi in tutti i com-parti (dalla raccolta dei ri-fiuti solidi urbani all’energi-a, all’acqua) si registrano solo sprechi. In totale sono oltre 18mila i dipendenti delle 59 società passate in rassegna dal gruppo di lavo-ro di Confindustria Sicilia coordinato dal direttore Giovanni Catalano che ha utilizzato documenti tratti da banche dati pubbliche come quelle delle Camere di commercio: in questo e-lenco figurano aziende commissariate come l’Amia di Palermo (rifiuti) le cui perdite a bilancio (ma il da-to è del 2008) ammontano a oltre 183 milioni oppure la Gesip il cui bilancio 2009 segna perdite per oltre sette milioni o ancora Catania Multiservizi con perdite di 4,8 milioni. Per quanto ri-guarda il settore rifiuti compaiono gli Ato che se-condo la Corte dei conti hanno provocato debiti alla regione per 900 milioni, an-che se una vera ricognizione del debito resta da fare. In queste condizioni, in molti casi, le società partecipate dai comuni rischiano di tra-scinare nel baratro gli enti stessi. Spiega Raffaele Mazzeo, coordinatore na-zionale dei direttori finan-ziari delle pubbliche ammi-nistrazioni nell’ambito dell’Associazione nazionale direttori amministrativi e finanziari: «A partire dal 2014 i bilanci delle parteci-pate dovranno essere conso-lidati nei bilanci degli enti. Significa che gli enti locali dovranno contabilizzare nel proprio bilancio le perdite della partecipata». Solo a titolo esemplificativo: i 185 milioni dell’Amia si andreb-bero a sommare alle oggi non irrilevanti perdite del comune di Palermo. Ecco perché in tanti ritengono che la cosa da fare rapida-mente sia quella di vendere le quote aprendo il mercato ai privati. Tra questi, sicu-ramente, Confindustria Sici-lia che da tempo chiede la fine del «socialismo muni-cipale» e oggi, dopo aver dato un primo giudizio posi-tivo gli imprenditori sicilia-ni guardano con preoccupa-zione al recente decreto sul-le liberalizzazioni: «A di-spetto dell’apparenza (il li-mite per gli affidamenti in house cioè senza gare d’ap-palto scende da 900 mila a 200mila euro l’anno)– spie-ga il vicepresidente regiona-le di Confindustria Sicilia Giuseppe Catanzaro – il de-creto segna un passo indie-tro rispetto alla versione o-riginaria. Viene fortemente indebolita la disciplina tran-sitoria: mentre prima gli af-fidamenti in house scadeva-no il 31 marzo di quest’anno ora il nuovo termine è stato fissato per il 31 dicembre e anche il termine per gli affi-damenti alle società miste è stato spostato dal 30 giugno a 31 marzo 2013. La Sicilia è un caso esemplare di ciò che accade nell’intero Sud: i costi per la cattiva gestione dei servizi e le assunzioni spesso clientelari ricadono soprattutto sulle famiglie. Non cambiare significa tute-lare questa situazione». A criticare le previsioni degli articoli 25 e 26 del decreto anche Alessandro Albanese, presidente di Confindustria Palermo: «Il governo – dice – sta dando un congruo las-so di tempo a Comuni e Province per rimediare ai vincoli del diritto europeo e agli accordi che il nostro paese ha assunto con l’Eu-ropa in materia di crescita. Così come è scritta la norma basta fondere le società in house in una più grande so-cietà sempre in house ma titolare del servizio a livello di ambito territoriale ottima-le per continuare a derogare ai vincoli della concorrenza. Così non va». E pur dando un giudizio positivo sul pa-rere vincolante dell’Anti-trust resta l’invito a «modi-ficare il decreto per evitare che si legittimi la condotta anticoncorrenziale di nume-rosi comuni» chiude Dome-nico Bonaccorsi, presidente di Confindustria Catania.


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