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Partecipate, non si torna indietro
Per la Corte dei conti non è possibile immettere nei ruoli comunali il personale delle società

Gli enti locali non possono reinternalizzare servizi affidati in precedenza a società partecipate e conseguentemente assumere il personale dei tali società e in deroga ai limiti di spesa per il personale previsti dalle norme.
I pareri 3 febbraio numeri 3 e 4 della Corte dei conti, sezioni riunite chiudono la porta alla possibilità che comuni e province, una volta scelto di rinunciare a gestire i servizi mediante partecipate, possano immettere nei loro ruoli il personale da queste, nel frattempo assunto.
Le sezioni riunite sottolineano come, in questi ultimi anni, le disposizioni normative abbiano creato una linea di vero e proprio disfavore dell’ordinamento verso l’affidamento dei servizi locali a società partecipate. Non solo perché risulta più complesso il sistema per giungere alle esternalizzazioni, ma, in particolare, perché per gli enti con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti è espressamente previsto l’obbligo di sciogliere le società da essi create. In più, le più recenti disposizioni introdotte dalla legge 111/2011 hanno segnato ormai la necessità di comprendere la spesa del personale delle partecipate entro quella dell’ente dominus e di estendere alle società le regole per il patto di stabilità.
Nei fatti, viene a mancare nei soggetti privati costituiti dagli enti locali per gestire servizi pubblici economici o anche solo per demandare loro lo svolgimento di attività di supporto, il requisito della maggiore flessibilità ed agilità nella gestione, dipendente dall’applicazione delle più semplici regole gestionale proprie del diritto privato. La contabilità delle società è destinata ad essere sempre più influenzata dalle regole pubblicistiche, mentre per assumere ed acquisire appalti ormai debbono sostanzialmente applicare le medesime regole pubbliche proprie delle amministrazioni.
Non è, allora, un caso, che molti enti stiano pensando di riportare al proprio interno la gestione diretta di servizi prima esternalizzati. Ma, le norme vigenti che pongono tetti alle spese di personale, come l’obbligo di riduzione annuale del tetto complessivo, il vincolo a rispettare un rapporto tra spese di personale e spese correnti non superiore al 50% e il tetto alle assunzioni pari al 20% del costo delle cessazioni, impediscono che alla reinternalizzazione corrisponda il trasferimento all’ente locale di personale assunto direttamente dalla società affidataria di servizi.
Le ragioni di salvaguardia della finanza pubblica, comunque, non sono le uniche ad impedire l’immissione del personale delle società nei ruoli pubblici, secondo le sezioni riunite. La delibera 4/2012 evidenzia l’impossibilità di derogare al principio costituzionale del pubblico concorso, cosa che avverrebbe se si ammettesse l’assunzione diretta del personale assunto dalle società disciolte, specie se selezionato con procedure poco compatibili con i concorsi.
Né per effetto della reinternalizzazione dei servizi possono operare le disposizioni dell’articolo 31 del dlgs 165/2001 e dell’articolo 2112 del codice civile, i quali ammettono il passaggio diretto dei dipendenti nel caso di cessione di ramo d’azienda solo se l’ente pubblico esternalizza, non nel caso inverso.
Le sezioni riunite non si mostrano, invece, contrarie alla riassunzione del personale a suo tempo già in servizio presso l’ente e trasferito alla società all’epoca dell’ esternalizzazione. Infatti, si tratta di personale essendo transitato dai ruoli dell’ente locale, si presume sia stato mediante concorso.
Tale posizione non appare, però, del tutto condivisibile e coerente. Infatti, gli enti che avessero, come dovuto, ridotto le dotazioni organiche e i fondi per la contrattazione in conseguenza delle esternalizzazioni vedrebbero aumentata la spesa di personale oltre i limiti e vincoli previsti dalla legge. In secondo luogo, se il trasferimento al momento dell’esternalizzazione fosse stato effettuato in modo corretto, il rapporto di lavoro pubblico si sarebbe risolto e i dipendenti sarebbero dovuti transitare verso una regolazione del rapporto di lavoro totalmente privatistica, tale da impedire radicalmente una reintegrazione nell’ente di appartenenza. Si tratta, a quel punto, di lavoratori privati, soggetti alla disciplina ed alle tutele (mobilità, cassa integrazione, disoccupazione) applicabile alle aziende private.
In ogni caso, le sezioni riunite non nascondono la difficoltà rilevantissima che incontrano gli enti locali intenzionati a reinternalizzare le funzioni. Anche laddove si riuscisse, infatti, a dimostrare una maggiore economicità della gestione diretta, i rischi evidenti della crescita della spesa di personale finiscono, in assenza di una legislazione più chiara, per sconsigliare le reinternalizzazioni. E ciò tenendo conto, si deve aggiungere, dell’impatto occupazionale conseguente da tali decisioni.


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