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È scontro per la superutility del Nord
Tre ipotesi per l’aggregazione e tra le banche d’affari battaglia per le consulenze

MILANO — Sarà anche vero, come confermano gli addetti ai lavori, che non ci sono tavoli tecnici all’opera. Ma il tema è ormai all’ordine del giorno di tutte le società coinvolte. Al punto che ormai è già scontro sulla soluzione con cui dar vita alla superutility italiana, da costruire secondo il modello della tedesca Rwe. E con le banche d’affari che stanno facendo a gara per proporsi come possibili consulenti per un’operazione che potrebbe dominare la scena per almeno una paio di stagioni. Del resto, la firma degli accordi per il passaggio di Edipower sotto il controllo di A2a e Iren, con il beneplacito del governo Monti, ha dato il via al cantiere per la creazione di un campione nazionale che partendo dall’elettricità, si occupi anche di reti idriche e gestione dei rifiuti. Un progetto di cui si sta occupando anche il ministro per lo Sviluppo economico Corrado Passera, già garante con il gruppo francese Edf per gli accordi sul divorzio da Edison. E nel quale, primo o poi, potrebbe giocare un ruolo di primo piano il Fondo strategico della Cdp, come possibile socio. Ma di quale società? Le possibile strade per la creazione della Rwe italiana — su cui hanno già iniziato a discutere informalmente le società — sono tre. La prima prevede la fusione da subito di tutte le società quotate in Borsa. Da un punto di vista finanziario è la più semplice, perché il mercato attribuisce dei valori certi alle azioni. Mediobanca, per esempio, sta già facendo circolare un documento in cui ha ricostruito, ai valori attuali a Piazza Affari, come potrebbe essere rappresentato l’azionariato. Con i comuni che controllano una holding che a sua volta controlla le società a livello locale, con successiva quotazione in Borsa della holding (come si vede nel grafico a fianco). La soluzione darebbe autonomia ai manager perché nessun comune avrebbe più del 18% delle quote. Ma, allo stesso tempo, mettere insieme tante realtà diverse e affrontare il voto di decine di consigli comunali apre la fusione a più di una incognita, a cominciare dai tempi. La seconda via individuata passa dalla fusione non delle società ma dei rami di attività. Le aziende dovrebbero conferire i propri asset per formare aziende attive nell’elettricità piuttosto che nei rifiuti o nell’acqua. Si comincerebbe proprio dall’energia, visto che A2a e Iren controllano già Edipower: tutti gli altri gruppi conferirebbero le centrali di loro proprietà per poi ritirare l’energia pro quota, sfruttando però sinergie, a partire dagli acquisti di materia prima. Un’operazione meno complessa politicamente ma che i tecnici sostengono abbia ampie controindicazioni per la difficoltà nel valutare economicamente le centrali. Per non dire che alcune società come Hera non hanno di fatto produzione. La terza strada è quella di continuare come è avvenuto, fino ad ora, per aggregazioni successive con non più di due aziende per volta. In questo caso la controindicazione è quella di allungare i tempi della Rwe italiana sine die. Oltre a decidere quali siano le accoppiate migliore. «In ogni caso — come racconta uno dei manager coinvolti — l’importante è che in un aggregazione ci sia un progetto industriale e che la politica sia pronta a fare un passo indietro».


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