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«Liberalizzazioni e riforma del lavoro per uscire dalla crisi»
Il presidente della Bce avverte: non c'è alternativa al rigore di bilancio

Nessuna alternativa al risanamento dei conti pubblici, che deve essere accompagnato da liberalizzazioni e riforma del mercato del lavoro. In un’intervista al Wall Street Journal (pubblicata ieri sul sito), il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, riconosce che le misure anti deficit varate in Grecia e negli altri Paesi dell’Eurozona avranno effetti recessivi nel breve periodo («non lo dobbiamo negare», dice), ma «non c’è alternativa»: una marcia indietro farebbe aumentare gli spread e i costi di finanziamento, «lo abbiamo già visto».
Draghi invita insomma a stringere i denti e ad avere pazienza. In futuro, afferma, il ripristino della fiducia «riattiverà la crescita, ma questa non è una cosa che accadrà immediatamente, ecco perché le riforme strutturali sono così importanti: la contrazione nel breve periodo potrà essere seguita da una crescita sostenibile nel lungo termine solo se queste riforme saranno attuate».
Se però la via dell’austerity non può essere evitata, Draghi distingue un modo virtuoso, di percorrerla, e uno sbagliato. Alzare le tasse e tagliare gli investimenti è la scorciatoia, «in un certo senso la via semplice, ma non quella giusta. Deprime la crescita potenziale». In Europa, i tassi sono alti e le risorse pubbliche sono concentrate sulla spesa corrente. Il buon consolidamento – spiega Draghi – è allora quello in cui i tassi sono più bassi e la spesa pubblica, più contenuta, è focalizzata su infrastrutture e investimenti.
Tutto accompagnato da riforme strutturali del mercato, compresi i servizi, e del lavoro, che in alcuni Paesi va reso «più flessibile e più equo». Senza citare in modo esplicito l’Italia, Draghi punta il dito contro quei sistemi dove l’alta flessibilità per i giovani, che possono avere contratti di tre-sei mesi «rinnovati per anni», convive con una forte rigidità per la parte «protetta della popolazione, i cui salari seguono l’anzianità anziché la produttività». Sistemi «ingiusti», perché «scaricano tutto il peso della flessibilità sui giovani».
Proprio gli elevati tassi di disoccupazione giovanile che si registrano in alcuni Paesi, denunciano, secondo Draghi, che «il modello sociale europeo è già superato». «Le riforme – aggiunge – sono necessarie per aumentare l’occupazione, soprattutto giovanile, e di conseguenza la spesa e i consumi». Per sottolineare l’urgenza di abbandonare l’idea del posto fisso per tutta la vita, Draghi ricorre a una battuta: una volta l’economista «Rudi Dornbusch diceva che gli europei sono così ricchi da potersi permettere di pagare tutti per non lavorare. Non è più così».
Sulla situazione economica dell’Eurozona, Draghi non si sbilancia: «Difficile dire se la crisi sia finita», certo negli ultimi mesi si sono avuti sviluppi positivi, i mercati finanziari hanno trovato maggiore stabilità e il sistema bancario sembra meno fragile, molti Paesi hanno intrapreso programmi di risanamento e riforme strutturali, «abbiamo un fiscal compact nel quale i Governi europei stanno cominciando a cedere sovranità per l’intento comune di stare insieme». Ma la ripresa è molto lenta e resta soggetta a rischi al ribasso.
Draghi si sofferma in particolare sul fiscal compact, per sottolinearne la portata. «Non possiamo avere un sistema nel quale uno può spendere quanto vuole e poi chiede di emettere debito insieme. Prima di passare a un’unione fiscale, dobbiamo avere un sistema in cui ogni Paese dimostri di essere autosufficiente. Questo è il prerequisito perché gli Stati possano fidarsi l’uno dell’altro. Il trattato sul fiscal compact è davvero una conquista politica di grande valore, perché è il primo passo verso l’unione fiscale». «È l’inizio».
Nell’intervista, il presidente della Bce prende in esame la la situazione dei Paesi più in crisi. A cominciare dalla Grecia (in realtà, il punto di partenza del colloquio con il Wall Street Journal). Con l’accordo sul nuovo pacchetto di aiuti, per Atene può cominciare un mondo nuovo, dove si iniziano ad affrontare i problemi finanziari aperti. Il Governo, continua Draghi, ha preso impegni molto seri su conti pubblici e riforme strutturali. Ma la loro attuazione presenta rischi, anche alla luce delle prossime elezioni politiche. Mentre il Portogallo non avrà bisogno di un secondo salvataggio, dopo il pacchetto di aiuti già in atto.
Sulla politica monetaria, Draghi si attiene al consueto riserbo dell’Eurotower, ma sottolinea gli effetti positivi dei prestiti Ltro (Long term refinancing operation) da 490 miliardi di euro di dicembre, che se da un lato hanno scongiurato un credit crunch più grave (le banche stavano ricomprando il proprio debito a scadenza), dall’altro non possono da soli risolvere i problemi del mercato interbancario. Per questo serve che torni la fiducia nell’economia e quindi che le aspettative sulla crescita migliorino.
In un’altra intervista, alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, Draghi ha però detto che i mercati sono ancora fragili e quindi bisogna essere cauti su un annuncio della fine del programma di acquisti dei bond, peraltro in calo negli ultimi mesi. Nella stessa intervista, Draghi ha affermato che «non ci sono segni di tendenze inflattive nell’area euro, piuttosto il contrario».

I punti chiave

1 Il risanamento virtuoso
Non c’è alternativa al risanamento dei conti pubblici. Una marcia indietro innescherebbe la reazione dei mercati con aumento degli spread e dei costi di finanziamento. Ma limitarsi ad alzare le tasse e tagliare gli investimenti pubblici sarebbe semplice, ma sbagliato.

2 Le riforme per la crescita
Per gettare le basi di una crescita sostenibile nel lungo periodo, i Governi devono varare liberalizzazioni e riforme del mercato del lavoro, specie dove tutto il peso della flessibilità è sostenuto dai giovani. Il modello sociale europeo è già superato: lo dimostra l’alta disoccupazione giovanile.

3 Il valore del fiscal compact
Con il trattato sul fiscal compact, gli Stati hanno cominciato a cedere sovranità per l’obiettivo comune di stare insieme. È una conquista politica di grande valore, rappresenta il primo passo verso l’unione fiscale. Prima di raggiungerla, però, ogni Stato deve dimostrare di essere autosufficiente


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