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Stipendi d'oro, taglio subito anche nei Comuni
Manager pubblici, la Camera ci ripensa: ok al tetto. Deroghe per alti incarichi
Buste paga ridotte da aprile. Il Pd chiede di estendere l'austerity ai dirigenti della Rai
Eventuali eccezioni sono nelle mani di Monti, che però dovrà motivarle al Parlamento

ROMA – Hanno mediato fino all’ultimo. Il parere della Camera al decreto che sancisce un tetto agli stipendi per i manager pubblici è stato riscritto, limato, votato e rivotato. Alla fine, le commissioni competenti danno il via libera all’applicazione immediata del taglio. Prevedono un emendamento al decreto semplificazioni che lo estenda da subito – e per certo alle authority e agli enti locali.
Chiedono al governo che riveda la soglia massima, decisa in base allo stipendio del primo presidente della Cassazione: secondo il ministro Patroni Griffi è 294mila euro, per i deputati oscilla invece fino ai 310mila (l’invito è che si faccia 300, e non se ne parli più). Sui cumuli, invitano l’esecutivo a fare chiarezza, perché i dati che ha portato sono incompleti. Molti dei dirigenti interessati dal taglio hanno più di uno stipendio a carico della pubblica amministrazione (dal presidente dell’Inps Mastrapasqua, con il suo milione e duecentomila euro annuale, fino al capogabinetto dell’Economia Vincenzo Fortunato, che ne dichiarava oltre 800mila nel 2008).
Il tetto va applicato sul totale: anche con più incarichi, nessuno potrà superare i 300mila. C’è però la questione delle deroghe: il presidente del Consiglio non ne aveva prevista alcuna, sostenendo di non aver avuto le indicazioni del Parlamento. Ora le ha: potrà scegliere di togliere il limite a ruoli di «altissimo rilievo istituzionalee di straordinario impegno amministrativo, commisurato alla quantitàe qualità delle risorse sottoposte». Tradotto, sarà Monti – con motivazione scritta alle Camere a decidere se salvare i 621mila euro del comandante della Polizia Antonio Manganelli o – appunto i cumuli del presidente dell’Inps Mastrapasqua (che ancora una volta, sentito da Repubblica, sceglie di non commentare). Il parere esclude dalle deroghe«gli uffici di diretta collaborazione ministeriale», quei dirigenti che – dicono in coro Renato Brunetta, pdl, e Gianclaudio Bressa, pd – «erano riusciti a far sedimentare cose eccentriche, stipendi da 400, 500, 600mila euro, e anche di più».
«È stata fatta una delle azioni più belle di questa fase politica commenta l’ex ministro- un’opera di moralizzazione, in perfetta sintonia tra Pd e Pdl». Nonostante gli attacchi. «Abbiamo dovuto chiarire che il tetto non comporta un automatico ridimensionamento degli stipendi inferiori spiega Bressa – per bloccare quei dirigenti che avevano minacciato di abbassare la paga ai sottoposti». Rumors di Transatlantico raccontano che, a via XX settembre, c’era chi preparava emendamenti in proposito.
Si tira fuori Linda Lanzillotta: «Il parere è un capolavoro di subdola ipocrisia – dice la deputata dell’Api, astenuta – perché sono rimaste le righe che prefigurano la possibilità di ricorsi nel nome della “reformatio in peius”». La Camera prende atto di quanto detto dal governo, e cioè che si possono tagliare gli stipendi esistenti «in presenza di inderogabili esigenze di contenimento della spesa», ma mettendo nero su bianco l’eventualità dei ricorsi – secondo Lanzillotta – arma lo stuolo di avvocati che si prepara a presentarli.
Nonostante questo, il ministro è soddisfatto. «Andremo avanti fino in fondo», dice Patroni Griffi.
Incassati i pareri favorevoli di Camera e Senato (Palazzo Madama lo ha dato ieri mattina) il decreto va ora alla firma del premier. E al massimo ad aprile sarà operativo.
C’è però un intralcio dell’ultimo minuto: l’emendamento al decreto semplificazioni che metterebbe in sicurezza l’estensione del tetto alle autorità indipendenti e inviterebbe ad applicarlo gli enti locali potrebbe non essere ammissibile. Un paradossale effetto dell’invito di Napolitano a non varare leggi troppo eterogenee. Nessun problema invece per l’emendamento sui compensi dei dirigenti Rai presentato dal Pd. Quello è già passato. Sarà un’altra partita da giocare.


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