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Snam-Cdp, stop al fondo strategico
Energia. Sul tavolo le ipotesi della fusione con Terna (che oggi presenta il piano industriale) o l'intervento del veicolo pubblico
L'ad Tamagnini: vincoli di natura normativa - Lupi (Pdl): no a finte liberalizzazioni

Semmai il governo volesse intervenire per preservare l’interesse pubblico nella separazione fra Eni e Snam, non sarà attraverso il Fondo Strategico di Investimento (Fsi). Maurizio Tamagnini, amministratore delegato dello strumento controllato dalla Cassa Depositi e Prestiti, lo ha spiegato ieri durante il convegno nazionale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity e del venture capital): seppure un’operazione sulla rete del gas rientrerebbe, in teoria, nel perimetro d’azione del fondo – ha detto davanti alla platea degli investitori -«per un aspetto di regolamentazione del l’azionista strategico, Cassa Depositi e Prestiti, Snam è un esempio su cui vi sono vincoli di carattere normativo».
E così, dopo l’intervista a Corrado Passera e l’editoriale pubblicati da questo giornale, prosegue il dibattito sul futuro della società di distribuzione del gas. Tramontata l’ipotesi di un’asta internazionale per il controllo di Snam, sul tavolo rimangono due ipotesi: la fusione con Terna, destinata di creare una super-società delle reti oppure un intervento della Cdp, anche se non è ancora chiaro con quali modalità, visto i limiti imposti dallo statuto della cassa evidenziati ieri da Tamagnini.
La vicenda potrebbe avere presto nuovi sviluppi: già oggi se ne saprà qualcosa di più perché Flavio Cattaneo, amministratore delegato di Terna, sarà a Milano a presentare il piano strategico del gruppo. Un incontro atteso, visto che sul dossier della super-Terna le banche d’affari continuano a lavorare. Fra i punti a favore di un’aggregazione fra reti ci sono i precedenti europei: nel Regno Unito operatori come National Grid, Sse o Cki sono attivi sia nel trasporto gas che nella distribuzione di energia elettrica. E lo stesso vale per Ren in Portogallo, per Energinet in Danimarca e per numerose società negli Stati Uniti.
Ieri, intanto, sull’argomento è tornato anche il Financial Times che nella Lex Column, la pagina dei commenti del quotidiano della City, ha ribadito come nella separazione di Eni da Snam – «un momento chiave per l’uscita dell’Italia dalla crisi dell’euro» – gli interessi degli azionisti debbano rimanere al centro. Un punto di vista condiviso anche dalla politica. Dopo la lettera al Sole 24 Ore di Stefano Saglia, capogruppo Pdl nella Commissione Attività produttive, ieri è interventuo anche il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi che ha invitato «a non fare una liberalizzazione che alla fine sarebbe finta». Alla vigilia dell’approvazione del decreto liberalizzazioni, ha spiegato Lupi a questo giornale, non bisogna «fare pasticci», annullando il recupero di crebibilità di cui è protagonista il Paese. La strada da seguire non deve essere quella di togliere, attraverso un intervento diretto della Cdp in Snam, «risorse preziose per lo sviluppo», ma quella di creare un modello per altri settori (fra cui, sottolinea Lupi, anche le ferrovie), trovando un soggetto che possa remunerare Eni a prezzi di mercato.
Ed è proprio l’eventualità di un congruo compenso per il divorzio dalla rete-gas – la vendita del 52% della Snam porterebbe infatti tra i 5 e i 7 miliardi nelle casse del cane a sei zampe – che continua a trainare il titolo a Piazza Affari. Il gruppo energetico anche ieri ha chiuso in progresso dello 0,86% sostenuto da un report del Credit Suisse, che, viste le prospettive, ha alzato la raccomandazione da neutral a outperform


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