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Ostacolare l'accertamento è più rischioso dell'evasione

Tra le pieghe del corposo decreto “salva Italia”, mimetizzata sotto la accattivante rubrica “emersione di base imponibile”, vi è una norma destinata ad offrire all’Amministrazione finanziaria un’ulteriore incisiva arma di contrasto all’evasione fiscale. Si tratta dell’articolo 11, comma 1, legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha introdotto una figura di illecito penale tributario di tipo prodromico. Si tratta, infatti, di reato finalizzato a reprimere comportamenti che, pur non essendo di per sé evasivi delle imposte sui redditi e dell’Iva, sono dal legislatore ritenuti idonei ad ostacolare l’accertamento di dette imposte.
Presupposto di questa nuova fattispecie criminosa è che l’Amministrazione finanziaria, nel l’ambito dei poteri di accesso, ispezione e verifica abbia formulato direttamente al contribuente assoggettato al controllo o al l’amministratore di società o ad altri soggetti (familiari del l’amministratore, soci e dipendenti della società, clienti e fornitori) richieste di esibire o trasmettere atti o documenti o fornire dati o notizie, anche in risposta a questionari ad essi inviati. Il reato in questione si configura se, «a seguito delle richieste» taluno «esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte» o «fornisce dati e notizie non rispondenti al vero». Duplice, quindi, la condotta incriminata. La prima ipotesi (esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi) stante la genericità del termine “falsi”, appare riferibile a qualsivoglia tipo di falsità, sia materiale che ideologica. Per cui il reato potrà realizzarsi non soltanto nel caso di esibizione o trasmissione di documenti contraffatti o alterati (ad esempio, certificazioni di sostituto d’imposta o documenti relativi ad oneri deducibili), ma anche di atti ideologicamente falsi (quali fatture per operazioni inesistenti o schede carburante contenenti dati non veritieri). E siccome la norma, oltre ai «documenti», menziona espressamente gli «atti», potrà accadere che, ad esempio nell’ambito di una verifica fiscale nei confronti di un costruttore, gli acquirenti degli immobili vengano invitati a trasmettere ai verificatori copia dei relativi rogiti e che venga poi acquisita in banca la pratica di concessione del mutuo con allegata copia del contratto preliminare contenente l’indicazione di un prezzo sensibilmente maggiore. E così mentre il contribuente verificato (il costruttore) potrà essere indagato dei reati di dichiarazione fraudolenta o infedele ex articoli 3 o 4 del Dlgs n. 74/2000 soltanto se la ripresa a tassazione dei maggiori ricavi accertati comporta un’evasione d’imposta superiore alle soglie congiunte di punibilità previste da tali disposizioni, gli altri (gli acquirenti) saranno in ogni caso chiamati a rispondere del delitto ex articolo 11, comma 1, della legge n. 214/2011 indipendentemente dal superamento di qualsiasi soglia, visto che la norma in questione sanziona l’esibizione di atti anche solo in parte falsi.
La seconda ipotesi di condotta, consistente nel «fornire dati o notizie non rispondenti al vero» è invece configurabile soltanto in relazione a fattispecie di falsità ideologica. Esempio paradigmatico quello di una falsa risposta a questionario inviato da funzionari dell’Agenzia delle entrate o da militari della Guardia di Finanza ai clienti di un dentista per assumere informazioni sull’ammontare delle somme ad esso corrisposte. Ma, stante l’utilizzo del pronome “chiunque” per indicare il soggetto attivo del reato, la platea dei possibili destinatari della norma incriminatrice è estremamente ampia (oltre al contribuente, ad esempio, notai, intermediari finanziari, amministratori di condominio). E per una falsa risposta ad un questionario si rischia una pena fino a due anni di reclusione (ex articolo 483 cp).
Il modo, senza dubbio frettoloso, in cui è stata redatta la norma in questione suscita non poche perplessità e dubbi interpretativi. Innanzitutto, la persona cui viene effettuata la richiesta di dati o notizie dovrà essere avvertita delle possibili conseguenze penali a suo carico in caso di rilascio di dichiarazioni non veritiere, come per le dichiarazioni sostitutive? In secondo luogo, nel caso di richieste poste allo stesso contribuente, può valere il tradizionale principio per cui nessuno può essere tenuto a rilasciare dichiarazioni autoincriminanti? Infine, appare oscuro quale sia il significato da attribuire alla locuzione «solo se (…) si configurano le fattispecie di cui al Dlgs n. 74/2000», non avendo il verbo “configurare” una valenza tecnica. Vorrà dire che per la sussistenza del nuovo reato di comunicazione di dati non veritieri occorrerà che intervenga una sentenza di condanna per reato tributario o sarà sufficiente una semplice comunicazione di notizia di reato? Ma, se così fosse, sarebbe preoccupante non soltanto che la procedibilità dell’illecito di cui trattasi sia demandata ai verificatori, ma soprattutto che il delitto di falso permanga anche nel caso in cui quello tributario da essi ipotizzato sia poi ritenuto insussistente.


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