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Così il nuovo gestore si controlla da solo

Il mondo dei servizi pubblici locali continua ad arricchirsi di adempimenti e di novità normative, ed è difficile arrivare a un quadro razionale e pratico. Tutto ciò crea confusione e rischi di inefficacia.
Proviamo a riassumere quali saranno i prossimi appuntamenti: entro il 31 maggio i Comuni potranno chiedere alle Regioni di definire ambiti sub-provinciali; non oltre il 30 giugno le Regioni dovranno deliberare, per i servizi pubblici a rete (quali sono?) gli ambiti. Entro il 13 agosto, gli enti dovranno approvare la loro «delibera quadro sui servizi» come previsto dal regolamento di attuazione dell’articolo 4, comma 33-ter, del Dl 138/2011, che ancora non è stato pubblicato.
Tutto chiaro? Forse lo sarebbe. Curiosamente, però, il decreto milleproroghe (Dl 216/2011) all’articolo 13, comma 2, rinvia la decadenza delle autorità d’ambito al 31 dicembre 2012 creando così una situazione potenzialmente contraddittoria: il 13 agosto potrebbero ancora esistere quelle Aato che cesseranno dopo pochi mesi (cosa deliberano a fare?) e che in alcuni casi non sono state ancora istituite, come nel caso del Lazio per i rifiuti (chi delibera in questo caso?). Il tutto, ovviamente, seguendo un regolamento che non c’è.
Bizzarrie di norme che si accavallano e non sono coordinate tra loro. Potrebbe bastare, ma non è finita qui. A breve rischiano infatti di diventare legge le modifiche al Codice dell’Ambiente, approvate dal Senato.
Scorrendo il testo si capisce subito che siamo di fronte a un capolavoro. La norma, infatti, interviene sull’articolo 200 del Dlgs 152/2006, aggiungendo una lettera f-bis in cui si prevede che la società di capitali nata da un’integrazione operativa di preesistenti gestioni in house è «tale da configurare un unico gestore del servizio a livello di bacino» e «può costituire ambito territoriale ottimale, purché la popolazione servita sia pari o superiore a 250mila abitanti». Già questo crea un conflitto di competenze con le Regioni e potrebbe generare un “buco” all’interno di un bacino tale da vanificarne la parte rimanente. In un crescendo, però, la perla viene subito dopo: «In tale caso detta azienda diventa autorità d’ambito a tutti gli effetti e l’affidamento dei servizi di raccolta e di smaltimento o comunque afferenti al ciclo integrato dei rifiuti avviene direttamente all’azienda stessa anche in deroga all’articolo 4» del dl 138/2011.
In sostanza, in un quadro che, con sbavature, sembrava avere recepito la necessità di una separazione tra regolazione e gestione (applicata perfino nel settore idrico), ecco puntuale la smentita: se due aziende di rifiuti si fondono, in altre parole, non avranno più nessun ente terzo che ne verifica le condizioni di costo, di qualità, di efficienza e di prezzo. Si controlleranno da sole – non stentiamo ad immaginare con quale rigore – e, a quanto pare, dovranno nel proprio cda (o in assemblea?) approvarsi la propria delibera quadro. Una controriforma che susciterebbe l’invidia del Concilio di Trento.
È interessante, però, sapere cosa penseranno di questa norma le Regioni e quanto la possa apprezzare l’Autorità garante della concorrenza, che si troverà ad esprimere il suo parere sulla delibera quadro che queste società dovranno sottoporre a suo giudizio.


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