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Mutui, cresce il debito delle regioni
I dati della Ragioneria. Comuni fermi anche a causa delle interpretazioni restrittive della Corte conti

C’è la crisi ma regioni ed enti locali sono sempre più indebitati. Al 1° gennaio 2011 l’esposizione complessiva del comparto ha toccato quota 67,9 miliardi di euro a fronte dei 66,6 miliardi registrati al 1° gennaio 2010. Un incremento pari allo 0,1% del pil. A continuare a chiedere prestiti al sistema bancario sono soprattutto le regioni che nel 2010 hanno beneficiato di crediti per 2,3 miliardi, quasi il triplo della cifra richiesta nel 2009 (952 milioni). Ma a indebitarsi sono stati solo in tre: Piemonte, Lazio e Sicilia, ossia le regioni più esposte finanziariamente. Il Lazio, infatti, (si veda tabella) ha un debito residuo di 3,4 miliardi, il Piemonte di 3,2. Il che significa che sulla testa di ogni cittadino laziale grava un debito di 598 euro, mentre ciascun piemontese dovrebbe rimborsare 719 euro. È quanto emerge dal tradizionale rapporto della Ragioneria generale dello stato che ogni anno pubblica l’aggiornamento sullo stato di indebitamento delle autonomie. Il report, basato sulle informazioni acquisite da un campione di 68 istituti di credito oltre alla Cassa depositi e prestiti, conferma come i nuovi paletti alla sottoscrizioni di mutui (assieme ai vincoli del patto di stabilità) abbiano frenato la propensione agli investimenti soprattutto di comuni e province.
Infatti, se il valore dei mutui delle regioni cresce, quello dei contratti sottoscritti dagli enti locali si riduce. Secondo la Ragioneria nel 2010 sono stati concessi prestiti agli enti locali per 3 miliardi di euro, mentre le concessioni del 2009 valevano 3,9 miliardi. A tagliare maggiormente la voce mutui sono stati i comuni con più di 20 mila abitanti e le province. Nel complesso il debito residuo dei governatori è passato nel corso di un anno da 15,6 a 17 miliardi, mentre quello degli enti locali è rimasto sostanzialmente invariato a quota a 50,9 miliardi.
Questa diversa propensione al debito si spiega anche col differente trattamento previsto dalla legge. Mentre le regioni sono obbligate a contenere il peso finanziario dei mutui entro il limite del 20% delle entrate tributarie (pena l’impossibilità di contrarre nuovi mutui), per gli enti locali tale percentuale è destinata a decrescere sensibilmente nel corso degli anni: 12% nel 2011, 8% nel 2012, 6% nel 2013 e 4% nel 2014. Una road map, quella prevista dalla legge di stabilità 2012 (n. 183/2011), già di per sé restrittiva ma ulteriormente irrigidita da recenti interpretazioni della Corte dei conti che stanno mettendo in allarme i sindaci.
Una recente delibera della sezione autonomie (n. 5 del 30 aprile 2012, depositata l’11 maggio), suffragata anche dalla Ragioneria e dal Mef, ha previsto che i limiti all’indebitamento di cui sopra debbano essere rispettati già in sede di bilancio triennale. Ciò significa, per fare un esempio, che un ente che oggi è in regola con il limite vigente per il 2012 e vuole accendere un nuovo mutuo (perché ha un rapporto debiti/entrate sotto l’8%) non può farlo se non è in grado di garantire che scenderà sotto il 6% l’anno prossimo e il 4% nel 2014. La ratio è chiara: costringere i comuni a non contrarre nuovi mutui in modo da ridurne progressivamente l’esposizione debitoria. Una tendenza che già emerge dai dati della Rgs, seppure riferiti al 2010. Se l’interpretazione della sezione autonomie dovesse far scuola rischierebbe di mettere fuori legge municipi che al momento rispettano i parametri di legge. Le interpretazioni della sezione autonomie, tuttavia, non sono vincolanti per le sezioni regionali e c’è già chi scommette che in giro per l’Italia fioccheranno interpretazioni più favorevoli ai sindaci. Con la conseguenza che spetterà alle sezioni unite l’ultima parola.


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