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Parma reclama i crediti della Pa
Assemblee. Borri (industriali): il Comune trovi al più presto le risorse per pagare alle imprese le decine di milioni di arretrati

Di fronte allo stop della produzione industriale italiana, il +5,8% messo a segno l’anno scorso dall’industria di Parma ha il sapore di una vittoria contro tutto e tutti. Perché «di fronte a un’Europa logora con un euro in bilico e a un’Italia soffocata da spesa pubblica, manovre recessive e tensioni sociali, le imprese del nostro territorio soffrono meno e chiudono un bilancio 2011 positivo in tutti i settori, eccezion fatta per le costruzioni». Con queste parole Giovanni Borri, presidente dell’Upi, l’Unione parmense degli industriali, ha inaugurato ieri la parte pubblica della 67esima assemblea annuale, nella magnifica cornice ottocentesca del Teatro Regio di Parma, gremito di imprenditori, rappresentanti di università e istituzioni.
Tra questi sedeva in prima fila il neosindaco grillino Federico Pizzarotti (ieri sotto i riflettori della cronaca per il dietrofront sulla nomina di Valentino Tavolazzi a direttore generale), cui il presidente degli industriali ha teso subito la mano offrendo «massima apertura a una collaborazione costruttiva, trasparente e leale», nell’ambito però di una dialettica critica a tutela delle aziende. A partire dalla richiesta urgente al Comune di «trovare le risorse per pagare le decine di milioni di crediti che le imprese hanno accumulato per lavori pubblici o attività di servizio, che se non vengono saldati mettono a rischio la stessa sopravvivenza delle nostre aziende e il futuro di centinaia di lavoratori e delle loro famiglie».
Un appello a una «reale collaborazione con le imprese che vada al di là delle intenzioni» che Borri estende alla Pa e ancor più alle banche, a partire da CariParma e Banca del Monte, chiedendo di valutare le istanze delle aziende con «reale apertura alla costruzione di soluzioni corrette e sostenibili». Perché l’indagine congiunturale dell’Upi segnala che un’azienda di Parma su tre registra difficoltà di accesso al credito, una percentuale doppia rispetto al 2010 e che riguarda in primo luogo le piccole aziende e quelle legate al mondo delle costruzioni, già al centro di una grave crisi.
Tornando ai numeri snocciolati ieri dal presidente nella sua lunga relazione, emerge il ruolo chiave dell’alimentare «principale settore industriale della provincia e baluardo dell’economia», ha sottolineato Borri.
Trainato da grandi aziende come Barilla o Parmacotto, l’alimentare ha chiuso il 2011 con un incremento della produzione del 3%, che raddoppia al 6% se si guarda all’export, con prospettive positive anche per i primi sei mesi di quest’anno. Una previsione positiva che si scontra invece con un portafoglio ordini nel suo complesso in calo per le imprese parmensi, a causa del calo dei consumi interni, del rallentamento delle vendite oltreconfine nonché dei rincari di materie prime ed energia. Lo stesso Parmigiano reggiano inizia a risentire della forte pressione di altri formaggi a pasta dura, così come il comparto delle conserve di pomodoro soffre della bassa marginalità e dalla crescente concorrenza globale.
Brillanti le performance delle tecnologie alimentari, dopo la pesante crisi del 2010 (+8% la produzione, +17% l’export, seppure con previsioni di rallentamento per il 2012). In aumento sia l’attività della chimica-farmaceutica (+5%), capitanata dal gruppo Chiesi, sia della meccanica (+4%) nonostante la frenata nella seconda metà del 2011. Mentre non vedono la fine del tunnel le Pmi dell’edilizia: -2% la produzione, -5% il fatturato e in calo di 3 punti pure l’occupazione, a fronte di un quadro generale di tenuta nell’industria provinciale per quanto riguarda il lavoro dipendente (+0,5%) e di una riduzione della cassa integrazione del 16 per cento.
A trainare la sorprendente crescita dell’industria parmense – il +5,8% della produzione va di pari passo con un +8,7 dell’export e un +4,8% degli investimenti – sono però quasi sempre le aziende di grandi dimensioni, avverte il centro studi dell’Upi, quelle con sbocchi diretti sui mercati esteri. Si va ampliando infatti il gap rispetto alle piccole realtà, oggi in affanno.

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