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Informatica a due velocità
Angelucci: «L'Agenda digitale non basta, servono reti d'impresa»

L’informatica italiana cerca la riscossa nel digitale. Un cambio di passo che presuppone un atto di forza e insieme un impegno di creatività da parte delle aziende, non sempre disposte al rinnovamento dei loro modelli di business. Superata la “triade” telecomunicazioni (nel 2011 in calo del 3,4% a 40,3 miliardi), hardware (-9%, 4,5 miliardi) e software (-1%, 4,2 miliardi), la domanda spinge verso settori come le piattaforme internet, le smart tv, il medicale e il gaming, con grande scorno di chi era abituato a vendere solo server o soluzioni tecnologiche vecchio stile.
Il rapporto Assinform che sarà presentato oggi a Milano, realizzato in collaborazione con NetConsulting, in questo senso non lascia spazio a dubbi: nel 2012, secondo la riclassificazione dell’intero business attuata dall’associazione già nel marzo scorso (che include tutto il mondo del digital), la componente tradizionale dell’informatica calerà del 2,5% a 56,6 miliardi di euro, mentre quella più innovativa risulterà in salita di quasi il 7% a 12 miliardi.
In realtà i dati sul vecchio “ferro” sono ancora più allarmanti se si pensa che nel primo trimestre dell’anno la vendita di computer portatili è scesa dell’11%, i desktop hanno segnato un -17% e i server un -24 per cento. Ma la rivincita del digitale è già partita l’anno scorso. Si prenda il software applicativo, un business da 3,4 miliardi di euro: dentro questa famiglia di prodotti e servizi le piattaforme di gestione web sono cresciute del 10% e il così detto “internet delle cose”, per esempio il controllo anche in remoto degli oggetti connessi alla rete, è salito del 12 per cento.
Seguendo invece la classificazione tradizionale del mercato si vede come, sempre l’anno scorso, l’informatica “pura” (quindi la componente legata all’information technology) abbia lasciato sul terreno rispetto ai dodici mesi precedenti oltre il 4%, portandosi a quota 17,6 miliardi di euro, mentre le telecomunicazioni per poco non sono scese sotto la soglia psicologica dei 40 miliardi (40,3), in flessione del 3,4 per cento. Dato curioso: all’interno del comparto delle tlc, il mobile va peggio del fisso, con un crollo dei ricavi del 4,4% a 22,2 miliardi per i cellulari e di “solo” un 2,2% per la cornetta fissa e i collegamenti web.
In questo contesto è ovvio che la ripresa sarà possibile «solo agganciandosi ai settori più innovativi e trainanti – racconta Paolo Angelucci, presidente dell’Assinform – tenendo conto che l’agenda digitale è condizione necessaria ma non sufficiente per dare di nuovo slancio alle imprese tecnologiche italiane». Che dovranno riposizionarsi, secondo il numero uno dell’associazione confindustriale, pena una ristrutturazione non esattamente indolore.
Da qui l’invito di Angelucci a tutte le realtà produttive «a crescere dimensionalmente e ad aggregarsi attraverso le reti d’impresa». Al Governo si chiede invece di intervenire, sulla stretta del credito da parte delle banche, «che nel nostro settore è mortale, visto che ci sono molte spese correnti». Ma l’affondo di Angelucci è anche sulle migliaia di aziende inhouse, «che non hanno più senso», con le stesse società regionali dell’Ict che «stanno faticosamente trasformandosi in centri appaltanti evoluti». Infine la richiesta di un Chapter 11 italiano «poiché le procedure concorsuali nostrane sono lente» e la preoccupazione sulla riforma del lavoro, «che non deve ingessare la flessibilità, indispensabile per il cambiamento».


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