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Sanità: proteste sì, proposte poche
Le Regioni non si sono decise a difendere solo il buono e a lasciar perdere gli sprechi

Le misure anti-crisi approvate dal governo e dirette a ridurre la spesa pubblica hanno sollevato molte polemiche e sono state accompagnate dai soliti toni accesi. Mi è capitato anche in Puglia, dove sono in vacanza, di leggere dichiarazioni severe di Nichi Vendola mentre il suo assessore alla sanità sosteneva l’irrilevanza dei provvedimenti in una regione che aveva già proceduto a fare opera di razionalizzazione.

Tuttavia quel che mi colpisce nelle reazioni è l’assenza di proposte alternative. Abbiamo letto cose sulla riduzione delle spese militari assai ragionevoli, ma in pochi, governatori compresi, si sono cimentati con il tema della riduzione-razionalizzazione della spesa sanitaria. Qui c’è il bubbone italiano.

Si spende troppo e si spende male, i malati spesso vagano da regione a regione in cerca di sollievo, i privati fanno i capitalisti con i soldi degli altri visto che il privato nella sanità è quasi interamente finanziato dal pubblico. In questo modo si confonde tutto, la malasanità e le eccellenze, la duplicazione di ospedali con identiche specializzazioni a distanza di pochi chilometri, se non metri, e l’assenza di presidi sanitari in altre località. Una corrente rigorista dovrebbe attraversare trasversalmente il mondo politico e la professione medica per dare una svolta a un sistema sanitario di cui va salvato ilo principio, sanità per tutti e gratuita, ma di cui vanno corrette le storture e gli sprechi. Mi aspettavo che di fronte alle proposte, neppure draconiane, del governo le Regioni si disponessero a dare una mano e che si rompesse l’omertà per cui il buono copre il cattivo.

Abbiamo nelle università e negli ospedali il maggior sedimento di specializzazioni ma anche il maggior raggruppamento di carriere fasulle, di primariati dati a pioggia, di fenomeni intollerabili di nepotismo, come nel caso di Roma.

Eppure niente e nessuno prende l’iniziativa. Neppure con gesti esemplari per cui si colpisce uno per educarne cento. Così finisce che nel calderone dei tagli capitino sprechi e eccellenze. Forse è arrivato il momento di rompere le unanimità fittizie, amministrative, politiche, corporative per creare invece la convergenza virtuosa fra chi vuole spendere bene e chi vuole spendere e basta.

C’è stato un tempo in cui la sanità è stata la fonte si sostentamento di migliaia di famiglie fra medici, paramedici, finti-privati, un’ immensa rete clientelare in cui spesso al sud è entrata la criminalità.

Al Sud la sanità ha preso il posto della cassa del Mezzogiorno, si aprivano cliniche a ridosso di ospedali pubblici nella certezza che le regioni avrebbero accreditato e pagato la struttura.

Tutti contenti medici, infermieri, pazienti di avere l’ospedale sotto casa salvo fuggire al Nord per un cuore malato o anche per molto meno. Forse è arrivato il momento di cambiare e il Sud, lo dico da meridionale, deve dimostrare di saper spendere bene i soldi che riceve, così come al Nord non si può vantare, come fa Formigoni, l’eccellenza sanitaria pagata con il denaro di tutti e costruita in gran parte con le cliniche private. I grandi giornali non sono purtroppo attratti da questi temi, forse perché i loro editori hanno forti interessi nella sanità dove fanno come gli altri imprenditori del settore, cioè si godono la fortuna del buon raporto con la mano pubblica.


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