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Un macigno da 580 milioni sui Comuni
Il fronte dei sindaci. Nel mirino l'obbligo di inserire nei preventivi 2012 un fondo di svalutazione per i residui attivi nelle entrate tributarie ed extratributarie più vecchi di cinque anni

Riuscirà Leoluca Orlando a riscuotere quei 17.252 euro che ballano nel bilancio del Comune di Palermo dal 1995, o Matteo Renzi a incassare quei 157.037 euro che Palazzo Vecchio aspetta dal 1996? Al Governo ne dubitano, e per questa ragione hanno inserito nel Dl sulla revisione di spesa un comma (è il 17 dell’articolo 6) che chiede ai Comuni di iscrivere a bilancio un fondo di svalutazione pari almeno al 25% dei residui attivi nelle entrate tributarie ed extratributarie più vecchi di cinque anni. Tradotto, si tratta di un paracadute obbligatorio per quando si tratterà di cancellare dai bilanci comunali queste entrate più che dubbie, riportate fedelmente di anno in anno per far quadrare i conti. Le cifre citate sopra sono solo due esempi-limite, ma nei conti comunali la montagna di entrate dubbie citate dalla norma (che non si interessa di trasferimenti, alienazioni e prestiti) viaggia a 2,3 miliardi. Conseguenza: i fondi di svalutazione devono bloccare almeno 580 milioni.
Per questa ragione si gioca qui una delle “battaglie” cruciali sulla spending review per i sindaci, che oggi manifesteranno al Senato e hanno chiesto fra l’altro di correggere la regola sul fondo prevedendo almeno «maggiore gradualità» nell’applicazione. La norma, infatti, chiede di attivare il fondo fin dal preventivo 2012 (per approvarli c’è tempo fino al 31 agosto), e l’impatto sarà molto diverso da città a città. Gli effetti dipendono da due fattori: l’entità delle entrate dubbie, e la dimensione dei fondi di garanzia già attivati. Estranea alla questione-residui è Roma, ma solo perché le entrate ante 2008 sono state interamente affidati alla gestione commissariale che lotta contro il maxi-debito del Campidoglio, per cui non sono presenti nella gestione ordinaria. In qualche caso, invece, l’impatto rischia di essere decisamente pesante: il problema è soprattutto al Sud, dove si concentra il 24% dei vecchi residui comunali, e a Napoli sfiora i 700 milioni di euro mentre a Palermo si attesta a quota 181 milioni. Anche a Nord, comunque, la questione delle vecchie entrate non riscosse emerge prepotente, a partire da Torino dove il consuntivo 2011 ne conta 499 milioni (Milano è a 115 milioni). Anche per questo ieri il presidente dell’Anci Graziano Delrio è tornato a lanciare l’allarme, sostenendo che «nei Comuni che hanno crediti non riscossi» si affaccia il rischio «che arrivi un commissario che faccia una serie di provvedimenti, come l’aumento delle tasse e la sospensione del consiglio comunale». Anche per evitare questa prospettiva, al Governo si lavora per far entrare nel maxi-emendamento una norma in grado di estendere l’applicazione del metodo-Roma, che nella Capitale ha consentito una separazione fra gestione ordinaria e commissariale senza passare dallo shock della dichiarazione formale di dissesto.
La richiesta di «un metodo nuovo contro gli sprechi, senza mandare in dissesto i Comuni» riguarda anche l’altro pilastro della revisione di spesa, quello che mette nel mirino le “spese di funzionamento” nei Comuni e promette di concentrare i tagli negli enti in cui queste voci sono più alte.
I dati assunti a riferimento dalla norma sono quelli delle uscite di cassa 2011 monitorate dal Siope, il sistema telematico della Ragioneria generale, ma secondo gli amministratori locali hanno più di un problema. La regola guarda alle uscite di cassa 2011, che possono però essere influenzate dal fatto che alcuni Comuni gestiscono direttamente attività in genere esternalizzate (è il caso di Chieti, che per questa ragione primeggia nei «materiali di consumo»), o da arretrati di anni precedenti (succede spesso, per esempio, nella gestione dei contratti di servizio sui rifiuti). «Prendere a parametro i dati relativi a una semplice annualità non mi pare una ipotesi di lavoro utile a raggiungere il risultato che ci si prefigge», chiosa il presidente dell’Anci, annunciando la posizione dei sindaci nel confronto destinato ad aprirsi a stretto giro con il Governo. Il decreto, infatti, dà tempo alla Conferenza Stato-Città fino al 30 settembre per individuare un metodo alternativo di distribuzione dei 500 milioni di tagli fra i Comuni (la stretta in programma per il 2013 è invece di 2 miliardi): se non si troverà un accordo, sarà il ministero dell’Interno a decretare i tagli «in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi desunte, per l’anno 2011, dal Siope».

L’INCHIESTA
Le spese dei sindaci
Sul Sole 24 Ore di ieri sono state pubblicate le spese per «consumi intermedi» registrate nel 2011 in tutti i capoluoghi di Provincia. I dati mostrano le uscite per cancelleria e materiali di consumo, comunicazione, equipaggiamenti, contratti di servizio, incarichi, manutenzione ordinaria di immobili e auto, pulizia, utenze e affitti


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