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Sulle province previsto un casino
Come dovranno chiamarsi le nuove amministrazioni? E resteranno i vecchi comuni capoluoghi?

Quale sarà la soluzione adottata per le province accorpate? Lasciamo da parte tutti gli interrogativi che si pongono sul destino degli articoli 17 e 18 del decreto-legge 95, che disciplinano ex novo province e città metropolitane. Non sono pochi, perché vanno dai cambiamenti introdotti in questi giorni dal senato (e presumibilmente immutati fino alla promulgazione), ai possibili interventi della Corte costituzionale, ai pronunciamenti che la giustizia amministrativa sarà chiamata senz’altro a operare.
Lasciamo da parte altresì le peculiari condizioni delle province friulane, siciliane e sarde che, nonostante le previsioni contenute specificamente nell’art. 17 per l’adeguamento ordinamentale delle regioni a statuto speciale, potranno verosimilmente sottrarsi a una disciplina che facilmente la Corte costituzionale non la-scerà passare sotto silenzio (pochi giorni fa ha impallinato la riduzione del numero dei consiglieri regionali nelle regioni a statuto speciale).
Ammettiamo che tutto fili liscio e che quindi fra qualche mese, nelle regioni ordinarie, si passi alla delimitazione delle nuove province.
È facile prevedere quale sarà la pretesa che, qualora davvero si arrivi alla fusione, avanzeranno le province teoricamente destinate a scomparire perché assorbite da un ente confinante che superi i 350mila abitanti e i 2.500 kmq stabiliti dal governo ovvero perché, insieme con altri enti che non raggiungono ciascuno tali requisiti, riescano a superarli.
Per serbare almeno l’immagine della perpetuità dell’ente da sciogliere chiederanno due cose: l’aggiunta della dizione della propria provincia a quello dell’altro ente (o degli altri enti) con cui avverrà l’accorpamento; il mantenimento del capoluogo.
La prima richiesta potrà essere esaudita anche in altra maniera, mercé una nuova intitolazione del nuovo ente che non faccia riferimento ad alcuna delle province accorpate.
Per fare qualche esempio: potrebbero nascere le province di Pisa-Livorno, Modena-Reggio, Imperia-Savona.
Le intitolazioni potrebbero avere la congiunzione «e» (sul modello di Pesaro e Urbino) o il trattino (come Forlì-Cesena).
Potrebbero apparire nuove denominazioni o recuperi d’intitolazione in uso nei secoli andati: si parla di provincia Adriatica per Chieti, Pescara e Teramo, di Romagna per Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini. In questo modo si attuerebbe una sorta di parità esteriore fra provincia accorpante e provincia accorpata.
Soprattutto, però, sarebbe importante l’individuazione del capoluogo.
La soluzione è fornita dall’ineffabile legge n. 148 del 2004, istitutiva della provin-cia di Barletta-Andria-Trani, che prevede testualmente: «Il capoluogo della nuova provincia è situato nelle città di Barletta, Andria e Trani». Non è, dunque, individuato un comune capoluogo. Una soluzione del genere permetterebbe, facendo un esempio a caso, che dall’accorpamento delle province attuali di Lodi, Cremona e Mantova sorgesse la provincia di Cremona-Lodi-Mantova, con capoluogo «nelle città di Cremona, Lodi e Mantova». Si noti che, nel caso della provincia di Pesaro e Urbino, il doppio capoluogo è previsto dallo statuto provinciale. Ovviamente la totale parità fra i comuni sedi del capoluogo sarebbe poi rimarcata dalla mancata individuazione di un luogo fisso di riunione per il consiglio provinciale (la giunta non sussisterà più), oppure dalla spartizione: il presidente sta in un capoluogo, il consiglio in un altro.
Il modello potrebbe essere quello ecclesiale. Quando la Chiesa accorpò molte sedi vescovili della penisola, nel 1986, aggiunse alla denominazione della diocesi maggiore quello della minore accorpata (Ravenna-Cervia, Ferrara-Comacchio, Reggio Calabria-Bova), cosicché accanto alla cattedrale vi fosse una concattedrale nell’episcopio minore. Il linguaggio canonico usa l’espressione aeque prin-cipaliter, ossia egualmente importanti.
In tal modo la teorica nuova provincia di Macerata-Fermo-Ascoli potrebbe serbare i tre nomi delle dissolte province e tre sedi capoluogo, aeque principaliter.
E lo Stato come se la caverebbe con i propri organi decentrati? Certo, il comune nel quale andasse l’unica sede prefettizia apparirebbe come il vero capoluogo. Bisognerebbe dunque calibrare il decentramento, lasciando negli altri comuni capoluogo altri uffici periferici, certo meno importanti della prefettura (anche perché l’intendimento proclamato è di unire nella sede territoriale del governo il maggior numero di sedi statali).
Attenzione, però. Clemente Mastella, strenuo difensore del proprio Sannio, è già intervenuto presso il ministro Filippo Patroni Griffi per tutelare Benevento dall’accorpamento con Avellino. Avrebbe avuto rassicurazioni sul fatto che il governo intenderebbe individuare, come capoluogo (all’evidenza, unico) il comune più popoloso (nel caso, Benevento, tranquillizzando Mastella). Ma accetterebbe la provincia più popolosa di avere come capoluogo l’ex capoluogo della provincia minore accorpata?


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