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«La cultura rischia di arretrare di 20 anni»
L'allarme di Federculture. Possibili correttivi dei relatori

«La spending review mette a rischio venti anni di progressi nella gestione della cultura in Italia». È netta la bocciatura da parte di Federculture di alcune norme contenute nel decreto all’esame del Parlamento. Contestata la misura che prevede lo scioglimento o l’alienazione di tutte le società strumentali partecipate da pubbliche amministrazioni e contestualmente fa divieto agli enti quali associazioni e fondazioni che prestano servizi alla Pa di ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche. L’attuale versione della spending review viene criticata anche perché, sottolinea Federculture, colpisce le piccole realtà, cooperative o associazioni, che non potranno più ricevere finanziamenti per attività di servizi strumentali pubblici.
Infine, arriva l’altolà alla norma che prevede, da parte delle amministrazioni locali (Comuni e Province) e delle Regioni, non solo la soppressione o l’accorpamento, ma anche il divieto ad istituire enti di qualsiasi natura giuridica che svolgono funzioni fondamentali o amministrative previste dagli articoli 117 e 118 della Costituzione. Su questi temi, la Federazione ha attivato un tavolo tecnico che ha elaborato una serie di emendamenti presentati al Senato con il sostegno di senatori di diversi partiti schierati a difesa del sistema delle gestioni autonome. Le misure salva cultura, almeno in parte, potrebbero confluire in un emendamento dei relatori con cui esonerare il settore dalla stretta sulle spa locali.
Intanto, in attesa di conferme dal Parlamento, la guardia è alta. «L’intero sistema delle aziende culturali è a rischio – è l’allarme della Federazione presieduta da Roberto Grossi –. Esperienze positive che, attraverso il miglioramento dell’offerta di musei, teatri, biblioteche, aree archeologiche e attività di spettacolo, hanno accompagnato lo sviluppo delle città italiane». Per Grossi, «si colpisce, senza discriminare tra realtà inefficienti e di eccellenza, uno dei settori più vitali del nostro Paese, che oggi vale il 5,5% della ricchezza prodotta». Negli ultimi quattro anni – prosegue Grossi – «i settori dell’auto, del vestiario, degli alimentari hanno registrato un crollo sia della produzione sia dei consumi, mentre le famiglie italiane hanno incrementato del 7% la loro spesa per la cultura, con beneficio del gettito fiscale a favore dello Stato, dell’occupazione diretta e indotta e dell’economia dei territori».


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