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Tarsu più salata per gli alberghi
Tariffe maggiorate rispetto alle abitazioni

Gli albergatori si devono rassegnare a pagare tariffe Tarsu più elevate rispetto alle abitazioni anche se svolgono un’attività stagionale. Il contenzioso infinito fa registrare un’ulteriore vittoria dei comuni, che secondo la Cassazione (ordinanza 12859/2012) sono legittimati a fissare tariffe maggiorate per le attività alberghiere perché potenzialmente producono più rifiuti delle abitazioni. Sulla questione emerge da tempo un evidente contrasto tra giudici di legittimità e di merito. Alcune commissioni tributarie hanno escluso che le amministrazioni comunali possano stabilire tariffe più alte rispetto alle civili abitazioni, poiché l’articolo 68 del decreto legislativo 507/1993 con una formulazione piuttosto infelice prevede che «in via di massima» dovrebbero essere inquadrate nella stessa categoria degli alberghi. Questa norma, infatti, dispone che l’articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto dei gruppi di attività e dell’utilizzazione degli immobili. Il compito degli enti è la determinazione delle tariffe e l’indicazione delle categorie di locali e aree con omogenea potenzialità di rifiuti. In base all’articolo 68 gli enti sono tenuti a adottare un regolamento che deve contenere non solo la classificazione delle categorie, ma anche la graduazione delle tariffe ridotte per particolari condizioni d’uso.
La Cassazione ha più volte ribadito il principio che vanno inserite in categorie diverse alberghi e abitazioni, stante la differente potenzialità di rifiuti prodotti. La maggiore capacità produttiva di rifiuti di un esercizio alberghiero rispetto a una civile abitazione è un fatto incontestabile e un dato di comune esperienza. Non assume alcun rilievo poi il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore.Del resto, anche l’ultima pronuncia è in linea con il principio affermato dai giudici di legittimità con la sentenza a sezioni unite 8278 del 31 marzo 2008 e con le sentenze 5732/2007, 13957/2008, 11655/2009 e 302/2010. Peraltro anche il Consiglio di Stato, quinta sezione, con la decisione 750/2009, ha chiarito che la normativa vigente non esclude la possibilità che il comune, nell’ambito della propria discrezionalità, possa operare differenziazioni tariffarie nel caso in cui risulti necessario per conseguire l’obiettivo di coprire il costo del servizio. Sulla questione è intervenuta la commissione tributaria regionale di Palermo, che ha modificato il proprio precedente orientamento e si è uniformata alla Cassazione. Con la sentenza n. 163/2011 ha stabilito che i comuni possono deliberare per gli alberghi tariffe Tarsu più elevate rispetto alle abitazioni, in quanto l’articolo 68 gli riconosce il diritto di determinare i valori della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani attraverso una classificazione di categorie di contribuenti che tenga conto delle potenzialità di produzioni dei rifiuti e di un’omogenea tassabilità. Pertanto, è legittima la delibera tariffaria in cui la categoria degli esercizi alberghieri viene distinta da quella delle civili abitazioni e assoggettata a tariffe notevolmente superiori, in considerazione della maggiore capacità produttiva di rifiuti.In effetti, gli enti impositori hanno la facoltà di deliberare le tariffe tenendo conto dei locali e delle aree con omogenea potenzialità di rifiuti. In caso di contestazioni da parte del contribuente, mentre il giudice amministrativo ha il potere di annullare gli atti generali (delibere e regolamenti), il giudice tributario può solo disapplicare regolamenti e delibere comunali per vizi di legittimità, vale a dire per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge. Il giudice tributario, però, può disapplicare il regolamento che disciplina la tassa rifiuti se ritiene che i criteri adottati dal comune siano in contrasto con le leggi vigenti, ma non può fissare nuovi criteri in sede giudiziale (Cassazione, sentenza 9415/2005). Per esempio, non può rideterminare l’importo del tributo dovuto, modificando le percentuali in relazione alla diversa destinazione delle aree tassabili, e non può sostituirsi all’amministrazione nelle scelte che la legge gli riserva.


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