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Province: referendum sui confini
Il governo non ha tenuto conto della Carta europea dell'autonomia locale in vigore in Italia

L’assalto delle province e, probabilmente, anche di alcune regioni alle disposizioni per il «riordino» delle amministrazioni provinciali (si veda la notizia sui ricorsi al Tar, fornita in anteprima da ItaliaOggi il 30 agosto), potrebbe attingere pure a una disposizione di solito trascurata.

 

Si tratta della «Carta europea dell’autonomia locale», sottoscritta nel 1985 dagli Stati membri del Consiglio d’Europa e ratificata in Italia con la legge n. 439 del 1989. Tale Carta, pienamente esecutiva in Italia (non sono state espresse riserve di sorta, pur se la stessa convenzione permetteva ai Paesi sottoscrittori di considerarsi svincolati da svariate disposizioni), contiene una norma rubricata «Tutela dei limiti territoriali delle collettività locali». Si tratta dell’art. 5, che sinteticamente dispone: «Per ogni modifica dei limiti locali territoriali, le collettività locali interessate dovranno essere preliminarmente consultate, eventualmente mediante referendum, qualora ciò sia consentito dalla legge».

Si tratta di una materia, quella della consultazione delle popolazioni toccate dalle variazioni territoriali delle province, oltremodo delicata. Il governo ha ritenuto di cavarsela, e sostanzialmente il parlamento si è accodato, attraverso l’adozione di una «ipotesi di riordino» predisposta, in ciascuna regione a statuto ordinario, dal consiglio delle autonomie locali (art. 17, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, come convertito dalla legge n. 135). Sono già stati segnalati, anche dagli uffici studi delle Camere, problemi indubbi di costituzionalità, posto che la Costituzione (art. 133) così sancisce: «Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell’ambito di una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione». Orbene, altro è l’«iniziativa», nel caso del riordino complessivo palesemente insussistente, altro la consultazione, attuata altresì tramite non già i comuni, bensì soltanto i consigli delle autonomie locali.

La Carta europea dell’autonomia locale ribadisce l’obbligo della «consultazione», con l’aggiunta della possibilità d’indire specifico referendum (consentito dalla legge, anzi, previsto dalla nostra Costituzione). Le province potrebbero a questo punto chiedere l’indizione di referendum sulle «modifiche dei limiti locali territoriali». Non va taciuto che il governo ha accettato uno specifico ordine del giorno, nel corso del dibattito alla camera sulla conversione del decreto numero 95, sottoscritto dai deputati Tommaso Foti (Pdl), Agostino Ghiglia (Pdl), Francesco Aracri (Pdl) e Massimo Polledri (Lega). Il documento «impegna il governo a valutare l’opportunità, e nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di consentire alle province di poter assumere gli atti amministrativi prodromici a dare effettività alle previsioni di cui all’articolo 5» della citata legge n. 439 del 1989. In altri termini, si tratta di permettere a un’amministrazione provinciale di avviare un referendum con-sultivo sui nuovi confini. È un’indubbia zeppa sul percorso della risistemazione delle province.


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