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Delega fiscale bocciata dai commercialisti

Delega fiscale bocciata dai commercialisti. Secondo il Consiglio nazionale, il ddl che si appresta a intraprendere il cammino parlamentare «non ha mostrato affatto contenuti degni di un progetto di riforma fiscale», ma «appare soltanto una sommatoria di interventi più o meno significativi sul tessuto normativo esistente». Nulla più di una manutenzione, magari straordinaria, del sistema attuale. Parola di Claudio Siciliotti, presidente del Cndcec, intervenuto ieri in audizione presso la commissione finanze della camera. «Se i decreti liberalizzazioni e semplificazioni hanno regalato più perplessità che certezze, la vera e propria delusione è venuta dalla delega per la riforma del sistema fiscale, varato dal governo Monti a metà aprile 2012, dopo alcuni tentennamenti e rinvii», spiega Siciliotti. Una delusione che peraltro, secondo la categoria, era «ampiamente annunciata, perché, senza una riduzione a monte della spesa pubblica, nessuna riforma potrà mai consentire di ridurre la pressione fiscale, nel vincolo del rispetto degli equilibri di bilancio». Nel merito del provvedimento, Siciliotti condivide alcuni interventi, primo tra tutti la codificazione normativa dell’abuso di diritto, capace di fissare paletti un po’ più saldi nella pianificazione fiscale delle imprese. Senza però lesinare una domanda provocatoria: «Perché per le misure utili allo Stato per accertare e riscuotere con maggiore efficienza vanno bene i decreti legge, che entrano subito in vigore, mentre per le misure utili al contribuente si sceglie il ddl delega, che poi deve diventare legge delega e poi ancora, prima di entrare in vigore, dlgs?». Sempre tra i contenuti della delega, i commercialisti muovono alcune osservazioni volte a introdurre misure premiali per cittadini e aziende. Riguardo alla riforma del catasto, per esempio, il Cndcec chiede una clausola di salvaguardia che consenta di applicare i vecchi valori e le vecchie aliquote qualora le nuove rendite comportino un aggravio fiscale. In relazione alle norme sul monitoraggio del rischio fiscale nelle imprese, Siciliotti evidenzia «la necessità che esse non si traducano in nuovi adempimenti e organismi interni di controllo, appesantendo così ulteriormente i già onerosi costi della governance societaria». Per ovviare al problema, i commercialisti tornano a proporre che l’attività di revisione legale rivesta maggiore importanza, specie tra le pmi che scelgono volontariamente di sottoporvi i propri bilanci, «prevedendo che, in caso di accertamento, l’esecutività dello stesso in caso di ricorso della società rimanga sospesa fino alla sentenza di primo grado».
Davanti ai deputati della VI commissione, però, Siciliotti illustra anche altri possibili interventi che, pur non contemplati dalla delega, potrebbero contribuire a rilanciare l’economia del paese. Sulla tracciabilità dei pagamenti, pollice verso a un’ulteriore riduzione della soglia (attualmente pari a 1.000 euro) o all’introduzione della «tassa sul contante». Spazio, invece, al «contrasto di interessi», prevedendo parziali sconti fiscali a fronte delle spese regolate mediante moneta elettronica. «Su questo fronte il bastone è stato abbondantemente utilizzato e sarebbe il caso di cominciare a valutare seriamente anche il ricorso alla carota», osserva il presidente, «il progresso della telematica consentirebbe di creare all’interno dell’anagrafe tributaria una piattaforma informatica nella quale far confluire, distinti per ciascun contribuente, gli acquisti effettuati e quindi la detrazione spettante». In conclusione, il Cndcec rimarca come, prima di poter pensare a una riduzione del prelievo fiscale, «non si può prescindere da una altrettanto incisiva revisione della spesa pubblica». Il taglio necessario, secondo i commercialisti, sarebbe di circa 60 miliardi di euro (4% del Pil): 16 per evitare integralmente l’aumento Iva, 25 per coprire l’abolizione dell’Irap e il resto per finanziare interventi volti all’alleggerimento della tassazione sui redditi delle famiglie e sugli utili delle imprese.


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