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Il vicino può chiedere alla Pa di fermare la Scia o la Dia

Contro la presentazione di una Dia o una Scia, ritenute dal terzo contrarie alla legge, il regime della tutela giurisdizionale è oggi contenuto nell’articolo 19, legge 241/1990. La norma, al comma 6-ter, esclude innanzitutto che la Dia e la Scia siano provvedimenti amministrativi taciti direttamente impugnabili, aderendo in tal modo alle conclusioni cui era giunta l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 15/2011, salvo poi discostarsene per ciò che attiene alle forme di tutela giurisdizionale.
Il secondo periodo dello stesso comma stabilisce infatti che i terzi possano solo sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, sia loro consentita «esclusivamente», la proposizione dell’azione prevista dall’articolo 31 del Dlgs 104/2010, cioè l’azione contro il silenzio della Pa.
Secondo la giurisprudenza (da ultimo Tar Lombardia-Milano 1075/2012), la “sollecitazione” dei poteri di verifica della Pa da parte del terzo non può essere una generica denuncia di eventuali abusi edilizi e, anche se non necessita di formule specifiche, deve comunque possedere alcuni requisiti minimi, atti a garantire la serietà dell’istanza e a delineare un obbligo di provvedere. Tra questi la forma scritta, l’indicazione, almeno sommaria, della lamentata illegittimità delle opere edilizie e la richiesta di esercizio del potere/dovere di verifica e di eventuale repressione dell’abuso. Se questo tipo di istanza rimane inascoltata potrà configurarsi il silenzio-inadempimento impugnabile.
A fronte della più restrittiva ipotesi normativa, il Consiglio di Stato (Sez. IV, 4255/2012 e 6614/2011) ammette più ampie forme di tutela del terzo, sempre traendo spunto dalla pronuncia 15/2011, secondo cui Scia e Dia sono dichiarazioni imputabili a manifestazione di volontà privata dalla quale scaturisce un procedimento doveroso di verifica che, in assenza di requisiti per l’avvio o la continuazione dell’attività, si conclude con un diniego espresso o tacito di adozione del provvedimento inibitorio.
Il terzo, a tutela del proprio interesse pretensivo al corretto esercizio della potestà di verifica e controllo, potrà proporre l’azione di annullamento dell’atto (espresso o tacito) di diniego di adozione del provvedimento inibitorio, entro l’usuale termine di impugnazione, decorrente dalla piena conoscenza dell’atto lesivo (cioè la percezione dell’esistenza di un provvedimento e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l’attualità dell’interesse ad agire). Inoltre, congiuntamente o separatamente, potrà proporre l’azione di adempimento dell’obbligo dell’amministrazione di adottare i provvedimenti interdittivi o restrittivi, da esercitare comunque nel termine di un anno previsto dall’articolo 31, comma 3, Dlgs 104/2010, per l’azione avverso il silenzio.


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