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Comuni, ecco il fondo anti-dissesto
DECRETO SALVA-ENTI/ I sindaci saranno costretti a tagliare la spese. Vigilerà la Corte dei conti

Un fondo rotativo a favore degli enti locali alle prese con gravi criticità finanziarie che si impegnano a definire un rigoroso piano pluriennale di riequilibrio, da implementare sotto la stretta vigilanza di Viminale e (soprattutto) della magistratura contabile.
Confermando le anticipazioni delle scorse settimane, il decreto legge in materia di finanza locale approvato ieri dal governo introduce il nuovo meccanismo di «pre-dissesto» destinato alle province ed ai comuni che presentano pesanti «squilibri strutturali di bilancio».

Obiettivo di tale misura è garantire la tempestiva adozione delle misure correttive, scongiurando il rischio che la dichiarazione formale di «default» arrivi quando la situazione dei conti è ormai deteriorata.
Il provvedimento licenziato dal consiglio dei ministri introduce tre nuovi articoli (243-bis, 243-ter e 243-quater) nel Tuel.
Per avviare la nuova «procedura di riequilibrio finanziario pluriennale», gli enti locali interessati devono adottare un’apposta deliberazione consiliare, che entro cinque giorni dalla data di esecutività va trasmessa alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti ed al ministero dell’interno.
Tale iniziativa ha un duplice effetto sospensivo: da un lato, essa congela la possibilità per i giudici contabili di assegnare un termine per l’adozione delle misure correttive, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del dlgs 149/2011 (ma se il termine è già stato fissato il ricorso alla nuova procedura è precluso); dall’altro, mette temporaneamente in naftalina le procedure esecutive già intraprese nei confronti dei medesimi enti.
In entrambi i casi, la sospensione dura fino alla data di approvazione o di diniego di approvazione del piano di riequilibrio pluriennale, che il consiglio degli enti che ambiscono al «pre-dissesto» deve deliberare nel termine (perentorio) di 60 giorni dall’esecutività della precedente deliberazione di adesione alla procedura di riequilibrio.
Il piano (che va accompagnato da un parere dell’organo di revisione) può avere una durata massima di cinque anni, deve operare una dettagliata analisi dei fattori di squilibrio rilevati (anche alla luce dell’eventuale disavanzo di amministrazione risultante dall’ultimo rendiconto approvato e di eventuali debiti fuori bilancio) e indicare precisare le conseguenti misure correttive (tenendo conto di quella già eventualmente adottate), con puntuale «quantificazione e previsione dell’anno di effettivo realizzo».
Fra queste, il legislatore indica una «rigorosa revisione della spesa» (con tanto di obiettivi dettagliati di riduzione), l’incremento delle aliquote e delle tariffe fino al massimo consentito e le dismissioni patrimoniali, che aprono la strada all’assunzione di mutui per la copertura di debiti fuori bilancio per investimenti e soprattutto al nuovo «Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali».
Quest’ultimo potrà erogare anticipazioni fino ad un massimo di 100 euro per abitante, che andranno restituiti entro cinque anni (prorogabili fino a 10), sulla base di criteri e modalità che verranno definiti con un decreto del Viminale atteso entro il prossimo 30 novembre.
Le erogazioni del fondo, tuttavia, sono subordinate a una duplice condizione. In primo luogo, occorre la preventiva approvazione del piano di riequilibrio da parte della Sezione regionale della Corte dei conti, sulla base di un’istruttoria condotta da un’apposita commissione composta da rappresentanti del Mef e dell’Interno. La Corte è chiamata anche a vigilare sull’attuazione del piano, in stretto raccordo con i revisori interni e con l’interno. I provvedimenti di accoglimento e diniego potranno essere impugnati davanti alle sezioni riunite, cosi come quelli relativi all’ammissione al fondo rotativo.
La seconda condizione è legata ai meccanismi di condizionalità imposti agli enti beneficiari. Essi dovranno tagliare la spesa di personale, le spese correnti per utilizzo di beni di terzi (almeno del 10% in tre anni), e quelle per interessi passivi e oneri finanziari diversi finanziate con risorse proprie (-25%). Essi, inoltre, non potranno contrarre nuovi debiti (salvo i mutui di cui sopra).
Per gli enti non ammessi alla nuova procedura e per quelli che non rispettano le relative regole, scatta la procedura di dichiarazione esterna del dissesto ai sensi del citato dlgs 149.


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